Dopo due anni del governo Mario Draghi, l’Italia si prepara a votare dopo la sua ennesima crisi politica. Finora, l’attenzione politica e mediatica si è concentrata su alleanze e personalità. Nel frattempo, l’Italia sta attraversando una delle estati più estreme mai registrate. Il giornalista Stefano Liberti scrive sulla crisi climatica che dovrebbe essere al centro del dibattito.

Il 21 luglio del 2022, il presidente del consiglio italiano Mario Draghi ha rassegnato le dimissioni, spingendo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a sciogliere le camere e convocare elezioni anticipate per il 25 settembre prossimo. 

E’ la prima volta dal 1919 che in Italia si svolge una campagna elettorale durante l’estate. Nel breve tempo che hanno a disposizione, i partiti sono impegnati a stringere alleanze e a definire programmi. Ma se c’è un tema del tutto assente dalla campagna elettorale, questo è rappresentato dalla crisi climatica. Un’assenza che pare tanto più sorprendente in quanto l’Italia è colpita profondamente dagli effetti del surriscaldamento globale. 

Da diversi mesi il bacino del Po è attanagliato in una siccità mai vista prima. La totale assenza di neve in inverno nell’arco alpino e di piogge negli ultimi sei mesi hanno trasformato il maggiore fiume italiano in un rigagnolo: in alcune zone, si può guadare a piedi, passando per gli spiaggioni di sabbia che sono emersi dall’alveo. 

La carenza idrica ha effetti potenzialmente catastrofici su tutto il bacino del Po, un’area in cui vive un terzo della popolazione italiana, si genera il 40 per cento del Prodotto interno lordo nazionale, il 35 per cento della produzione agricola e il 55 per cento di quella idroelettrica. Più di cento comuni in Piemonte e Lombardia hanno cominciato a razionare l’acqua per gli usi civili. In diverse aree l’uso irriguo è limitato e la produzione di energia idroelettrica è di fatto interrotta. Secondo le stime di Coldiretti, principale confederazione agricola italiana, si è già perso un terzo delle produzioni nazionali, dal mais alla soia, dal grano al riso alla frutta. Nell’area del Delta, dove il Po sbocca in mare, la portata minima del fiume ha portato a una pesante risalita del cosiddetto “cuneo salino”, ossia dell’acqua marina, compromettendo l’utilizzo della risorsa per l’irrigazione e mettendo a rischio anche la disponibilità di acqua potabile per gli abitanti della zona. 

La siccità nel Po non è l’unica manifestazione palpabile degli effetti della crisi climatica in Italia: il 3 luglio scorso, un enorme seracco si è staccato dal ghiacciaio della Marmolada, causando 11 vittime tra gli escursionisti. Le temperature nettamente più alte della media stagionale stanno provocando su tutto l’arco alpino il collasso dei ghiacciai, tanto che in diverse aree le escursioni sono state vietate. 

Più a valle, anche il mare mediterraneo registra temperature eccessivamente elevate. Secondo le rilevazioni dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), siamo 5 gradi al di sopra della media stagionale. Questo produce un mutamento sostanziale degli eco-sistemi marini, con la comparsa di specie aliene invasive che trovano habitat adatti alla propria sopravvivenza e la contestuale scomparsa delle specie autoctone. 

Una classe politica inetta

Tutti questi dati non sono oggetto di dibattito pubblico, né sono analizzati nei piani programmatici dei partiti che si presentano alle elezioni. Le manifestazioni della crisi climatica registrate quest’anno sono ancora generalmente considerate un’anomalia. Come ha avuto modo di rimarcare Roberto Cingolani, ministro della transizione ecologica del governo Draghi dimissionario, “speriamo che la siccità sia contingente”. La dichiarazione del ministro che dovrebbe guidare la transizione ecologica è forse l’esempio più lampante dell’incapacità della classe politica italiana di affrontare una crisi che pure colpisce il paese in modo così rilevante.

Quello che sta accadendo quest’anno non è affatto un’anomalia, piuttosto la conferma di una tendenza. L’Italia è il fulcro di quello che gli scienziati chiamano “hot spot climatico”, un’area del pianeta dove gli effetti del surriscaldamento globale sono più vistosi che altrove. La posizione geografica del paese, al centro del Mediterraneo, lo espone in modo particolare all’innalzamento del livello del mare e all’incidenza crescente degli eventi atmosferici estremi.

Se è uno dei paesi europei più colpiti dagli effetti della crisi climatica, l’Italia è uno dei pochi che non è stato ancora in grado di elaborare una seria politica di adattamento.

L’anno scorso, secondo lo European severe weather database, il database europeo che li monitora giorno per giorno, ce ne sono stati 2061. Questo vuol dire che in media ogni giorno, in cinque-sei zone del paese, si sono registrati venti con velocità superiore agli 80 chilometri orari, piogge alluvionali o grandinate con chicchi di diametro superiore ai due centimetri. Questi eventi estremi sempre più frequenti provocano danni materiali e vittime, mettendo a nudo le fragilità di un paese che nel corso degli ultimi 60 anni ha sottoposto il proprio territorio a un’intensa opera di urbanizzazione e cementificazione.

Il consumo di suolo in Italia è nettamente al di sopra della media europea: secondo i dati recentemente pubblicati dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), nel 2021 si sono persi più di 2 metri quadri al secondo, il dato più alto degli ultimi dieci anni. Quando si consuma suolo si perdono servizi eco-sistemici e i territori riducono la propria capacità di assorbire gli shock climatici determinati sia dagli eventi estremi che dalle ondate di calore. Secondo l’Ispra, i danni prodotti dal consumo di suolo negli ultimi dieci anni sono quantificabili tra gli 81 e i 99 miliardi di euro. 

Proprio questa incapacità di leggere l’ampiezza della crisi climatica rende difficile l’attuazione di politiche di prevenzione. Se è uno dei paesi europei più colpiti dagli effetti della crisi climatica, l’Italia è uno dei pochi che non è stato ancora in grado di elaborare una seria politica di adattamento.

Il piano nazionale di adattamento ai cambianti climatici (Pnacc), un documento stilato da un gruppo di esperti nel 2017, giace da cinque anni nei cassetti ministeriali. Rimane in attesa di una valutazione ambientale da parte del governo, che evidentemente considera la questione non prioritaria.  

I fallimenti di Draghi

Eppure, quando ha preso funzione, il presidente del consiglio oggi dimissionario aveva annunciato azioni incisive nel contrasto alla crisi climatica. “Il riscaldamento del pianeta ha effetti diretti sulle nostre vite e sulla nostra salute, dall’inquinamento, alla fragilità idrogeologica, all’innalzamento del livello dei mari che potrebbe rendere ampie zone di alcune città litoranee non più abitabili”, aveva detto Mario Draghi nel discorso di insediamento, il 17 febbraio 2021. Subito dopo aveva annunciato politiche strutturali per facilitare le imprese che avessero voluto convertire le proprie attività in un’ottica di maggiore sostenibilità e aveva creato, prima volta in Italia, il ministero della transizione ecologica, deputato a guidare e orientare la conversione verde dei sistemi produttivi, di trasporto e di approvvigionamento energetico. 

A un anno e mezzo di distanza, il bilancio del governo su questo aspetto è deludente. Non solo il Pnaac non è stato approvato, ma tutte le politiche di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra sono andate a rilento. Neanche l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che ha messo a nudo la dipendenza italiana dal gas di Mosca (40 per cento delle importazioni), ha funzionato da stimolo per cambiare il modello energetico: invece di accelerare il passaggio alle fonti di energia rinnovabili, il governo Draghi si è impegnato nella frenetica ricerca di nuovi fornitori di gas, dall’Algeria alla Repubblica del Congo, dall’Angola al Mozambico. I contratti conclusi, così come la compartecipazione in investimenti per infrastrutture di trasporto e di rigassificazione, testimoniano della volontà di rimanere ancorati a un sistema basato prevalentemente sui combustibili fossili. 

Per quel che riguarda le ingenti risorse destinate all’Italia dal Next-Generation-Eu, il piano post-pandemico approvato a livello europeo, anche queste sono solo in minima parte rivolte al contrasto alla crisi climatica: dei 234,8 miliardi di euro indirizzati all’Italia, solo il 13 per cento vengono allocati ad azioni esplicitamente “verdi”, secondo l’analisi del Green recovery tracker. Una cifra al di sotto della soglia del 37 per cento stabilita a livello europeo. 

La campagna elettorale appena cominciata non sembra far altro che confermare la tendenza alla minimizzazione del problema. Il tema del contrasto alla crisi climatica, sia attraverso politiche di mitigazione che di adattamento, è per il momento assente dal dibattito politico. Questo on stupisce per i partiti della coalizione di centro-destra, data per favorita nei sondaggi, che tendono da sempre a ignorare la portata dell’emergenza, con  posizioni a tratti apertamente negazioniste. Ma anche quelli di centro-sinistra al momento si limitano a vaghi proclami sulla necessità di affrontare la crisi ambientale, senza offrire alcuna indicazione più dettagliata. 

Se la politica tace, sono tante però le voci che dalla società civile si alzano per chiedere azioni tempestive. Da questo punto di vista è significativa la lettera aperta che un gruppo di scienziati e climatologi ha scritto di recente alla classe politica.

La campagna elettorale appena cominciata non sembra far altro che confermare la tendenza alla minimizzazione del problema.

“La scienza del clima ci mostra da tempo che l’Italia, inserita nel contesto di un hot spot climatico come il Mediterraneo, risente più di altre zone del mondo dei recenti cambiamenti climatici di origine antropica e dei loro effetti”, esordisce la lettera, pubblicata il 3 agosto e firmata anche dal premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi. “Ci auguriamo dunque elaborazioni di programmi politici approfonditi su questi temi e una pronta azione del prossimo governo per la lotta alla crisi climatica e ai suoi impatti”.

Se degli scienziati hanno ritenuto di dover lanciare questo appello pubblicamente uscendo dalla loro abituale ritrosia, vuol dire che considerano l’inazione della politica un problema davvero serio. L’esortazione per il momento non ha avuto grande seguito, ma è pur vero che la campagna elettorale è solo agli inizi. 

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