Da una parte un partito politico senza un popolo, dall’altra un popolo che prova faticosamente a farsi ascoltare dalla politica. In mezzo, la crisi climatica che richiede risposte urgenti da parte delle istituzioni. Negli ultimi mesi, due organizzazioni molto diverse tra loro sono riuscite a squarciare il velo di silenzio che normalmente avvolge il tema dei cambiamenti climatici in Italia. 

Il primo in ordine di tempo a far parlare di sé è stato Europa Verde, il partito dei verdi italiani che dopo una traversata nel deserto durata 14 anni è finalmente tornato in Parlamento, riuscendo a superare la soglia di sbarramento alle elezioni di settembre 2022 e a eleggere 16 tra deputati e senatori. Una vittoria a metà per la causa ambientalista, dal momento che il 3,5 percento ottenuto alle urne è fin poca cosa rispetto all’entusiasmo dimostrato dai più giovani nei confronti dell’attivismo climatico, che alla vigilia delle elezioni aveva portato tra le strade italiane 80 mila persone con Fridays for Future. 

La seconda organizzazione ad assurgere agli onori delle cronache è stata quella degli attivisti di Ultima Generazione, gruppo transnazionale noto per le sue azioni di disobbedienza civile nonviolenta finalizzate ad attirare l’attenzione sulla crisi climatica e sull’inazione dei governi. A cavallo tra il 2022 e il 2023, gli eco-attivisti hanno stimolato un ampio dibattito grazie a una serie di plateali azioni dimostrative, con cui hanno imbrattato opere d’arte e luoghi simbolo della vita pubblica come “Il Seminatore” di Vincent Van Gogh, Palazzo Vecchio a Firenze e la facciata del Senato della Repubblica italiana. Iniziative che non hanno provocato danni permanenti alle strutture prese di mira, ma che hanno attirato le ire del neo-eletto governo di estrema destra guidato da Giorgia Meloni, che per punire severamente il danneggiamento dei beni culturali ha varato a metà aprile un disegno di legge subito ribattezzato “legge contro gli eco-vandali”. 

La criminalizzazione del dissenso climatico è stata condannata trasversalmente dall’arco parlamentare italiano, compresa Europa Verde, che tuttavia non condivide la filosofia che anima Ultima Generazione. Nonostante le due organizzazioni perseguano lo stesso obiettivo, infatti, il partito dei Verdi e gli attivisti sono divisi dalle modalità necessarie a comunicare la crisi climatica. Una frattura apparentemente insanabile che corre sull’asse generazionale – ma non solo – e che rischia di condannare gli ambientalisti italiani all’irrilevanza politica. 

Una divisione che arriva da lontano 

Questa differenza di vedute ha delle radici storiche e strutturali, che rendono l’ambientalismo parlamentare e i movimenti in qualche modo incompatibili e incapaci di unire le forze. 

La frammentazione italiana sul tema dell’ambientalismo va prima di tutto ricercata nella storia del movimento green e della sua evoluzione all’interno della politica del Paese. Come ha spiegato al Green European Journal Paolo Gerbaudo, sociologo e teorico politico alla Scuola Normale Superiore di Pisa e al King’s College di Londra, “in Italia il movimento dei Verdi come partito risale all’inizio degli anni ‘90 e ha avuto una storia molto travagliata”. Sebbene il partito dei Verdi italiani sia nato a tutti gli effetti nel 1990, la loro prima partecipazione alle elezioni politiche risale a tre anni prima, quando riuscì a entrare in Parlamento come evoluzione di diversi movimenti ecologisti dedicati a singole istanze.  

Nonostante tra gli anni ‘90 e i primi anni 2000 siano stati in grado di ottenere risultati politici concreti, come l’approvazione della legge sulle aree protette che tutela tuttora il patrimonio naturale italiano. Negli anni successivi i dissidi interni e le continue scissioni hanno progressivamente allontanato gli elettori, fino al 2008, in cui gli eletti si azzerarono completamente. Solo nel 2022 i Verdi sono tornati in una nuova veste, quella di Europa Verde che, insieme a Sinistra Italiana, ha ottenuto il 3,5 per cento dei voti alle elezioni politiche del 25 settembre.  

Un altro elemento da considerare è la difficoltà dei Verdi italiani a trovare un bacino elettorale che non fosse limitato a strati della popolazione estremamente benestanti. Il partito, storicamente associato all’alta classe media radicale, è rappresentato quasi solo nelle grandi città, e non è riuscitoa dare un aspetto sociale alle proprie rivendicazioni ambientali. Un altro problema dell’ambientalismo italiano, secondo Gerbaudo, è che si è istituzionalizzato in maniera molto rapida, passando velocemente da movimento di contestazione e critica al potere a essere parte integrante di quello stesso sistema di potere. «Nel caso italiano questa tendenza ha in qualche modo prosciugato l’aspetto di contestazione e di dissenso» ha sottolineato il politologo, rendendo il movimento ecologista italiano, fino a oggi, un movimento molto debole, poco incisivo e sostanzialmente incapace di imporre le proprie istanze.  

Questo vuoto sembra essere stato riempito da una nuova ondata ambientalista che negli ultimi anni ha attirato l’attenzione soprattutto di una diversa fascia demografica, quella dei più giovani, facendo pressione sul governo e sull’opinione pubblica e sottolineando l’urgenza di agire in ottica sostenibile per frenare il cambiamento climatico. I movimenti Fridays for Future, Ultima Generazione ed Extinction Rebellion tentano di recuperare un elemento di contestazione che ritengono necessario a fronte della crisi climatica. Si tratta di movimenti diversi tra loro per modalità di azione, ma accomunati dall’obiettivo di svegliare le coscienze dell’opinione pubblica, ma soprattutto del governo e della classe politica, spronandole ad  agire subito e concretamente per fermare il disastro ambientale in corso.  

Le origini stesse di questi movimenti li rende strutturalmente diversi dall’ambientalismo parlamentare italiano. Si tratta, infatti, di fenomeni nati sulla scorta di eventi di mobilitazione internazionale e soprattutto giovanile con l’intento di protestare e contestare le politiche immobiliste dei governi. In concreto, ciò si traduce in un approccio comunicativo e pragmatico decisamente più radicale, che mette a disagio l’ala parlamentare dell’ambientalismo e frena ogni tentativo di creare un fronte comune. 

Così simili, così diversi 

“Siamo assolutamente in disaccordo con le azioni di Ultima Generazione” ha spiegato al Green European Journal Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde, volto storico dell’ambientalismo italiano e da qualche mese deputato della Repubblica per la seconda volta. Secondo Bonelli, la strategia degli attivisti manca di una visione d’insieme, senza la quale la protesta per il clima rischia di ottenere addirittura l’effetto contrario.  

Bonelli non sembra avere alcun problema con lo strumento delle azioni dimostrative e anzi, ricorda quando agli inizi degli anni Novanta per evitare la cementificazione di un’importante area verde romana aveva sabotato delle ruspe inserendo 30 chili di zucchero nel serbatoio. Il problema, semmai, è comunicativo. “In questo modo si parla solo della vernice, mai di soluzioni o proposte per contrastare il cambiamento climatico”, spiega Bonelli, “per non parlare degli effetti che queste proteste hanno sull’opinione pubblica”.  

Il leader dei Verdi se la prende in particolare con i blocchi stradali, uno degli atti di disobbedienza civile più discussi tra quelli adottati da Ultima Generazione, in grado di paralizzare per ore le principali arterie del traffico delle città. “Non penso che sia questo il metodo più efficace per avvicinare le persone alla battaglia. La conversione ecologica dev’essere socialmente desiderabile, come ci ha insegnato [l’attivista e politico italiano] Alexander Langer, mentre Ultima Generazione teorizza che la protesta debba essere insopportabile per tutti. Ma se diventi insopportabile, la gente ti odia e questo non può che avere conseguenze negative sulla lotta”. 

Non la pensa così Delfina, portavoce di Ultima Generazione che raggiunta dal Green European Journal risponde: “È dagli anni ‘70 che esistono i movimenti ambientalisti, eppure ci ritroviamo nella situazione drammatica attuale. Ciò significa che qualcosa nelle pratiche più tradizionali non ha funzionato, o perlomeno non abbastanza”. La lotta contro l’emergenza climatica richiede insomma un approccio più radicale, che secondo Ultima Generazione non è compatibile con le esigenze della politica istituzionale: “Non siamo alla ricerca di consenso come i politici,” continua Delfina, “noi vogliamo essere coerenti con quello in cui crediamo, ossia ciò che la comunità scientifica evidenzia da anni. Scandalizzare le persone per i nostri metodi è parte del processo, nel parlare di noi si parla inevitabilmente delle motivazioni che ci portano ad agire così”.  

Delfina spiega che i metodi utilizzati da Ultima Generazione sono gli stessi che hanno accompagnato le lotte per il suffragio femminile e che oggi, proprio come allora, la disobbedienza civile nonviolenta resta lo strumento più affilato di fronte alle disuguaglianze e all’inerzia delle istituzioni. Ma sarà mai possibile creare un fronte comune dell’ambientalismo italiano? L’esponente di Ultima Generazione si dice pronta a dialogare con tutti, ma nel rispetto dei diversi ruoli: “Il nostro essere fuori dalle istituzioni ha un senso ben preciso. Creando così tanto disagio in diversi ambiti della società vogliamo obbligare la politica a prendere misure rapide e concrete per arginare i danni. Se aspettassimo noi di entrare in politica vorrebbe dire accettare una lentezza di processo che non ci possiamo permettere”. 

Bonelli, che pure non condivide i metodi di Ultima Generazione, ne difendel’autonomia . Nel 2022 ha incontrato una delegazione del movimento e definisce “inaccettabile” il rifiuto di gran parte della politica italiana di parlare con gli attivisti. 

La terza via dell’ambientalismo italiano

Tutto si riduce, ancora una volta, alla capacità di influire sul dibattito pubblico e conseguentemente di dettare l’agenda ai decisori politici. Lo sa bene Bonelli, che considera il dibattito italiano sul clima “semplicemente penoso” e si dice preoccupato per le politiche intraprese dal governo in tema di approvvigionamento energetico. Lo sanno, a maggior ragione, gli esponenti di Ultima Generazione, che ogni giorno mettono in gioco i propri corpi per chiedere al governo di “smettere di finanziare le multinazionali del fossile”, ci dice Delfina. 

Eppure, fin qui, le loro parole e le loro azioni sembrano essere cadute nel vuoto. Fin dal suo insediamento, il governo Meloni si è dimostrato insensibile alle istanze dei Verdi e degli attivisti climatici, che nella narrazione governativa sono definiti alternativamente esponenti di un “ambientalismo ideologico” o “talebani del green”. In concreto, uno dei primi atti formali della presidente del Consiglio è stato quello di eliminare il ministero della Transizione ecologica, una delle più significative vittorie dell’ambientalismo italiano nell’ultimo decennio, scorporando di fatto i dossier relativi all’ambiente e quelli di politica energetica. Il governo Meloni si è anche speso attivamente per bloccare il bando ai motori inquinanti in sede europea, per attivare nuove linee di trivellazione nel mar Adriatico e per stimolare la produzione di biocarburanti in Kenya, Congo, Angola, Costa d’Avorio, Mozambico e Rwanda, mossa che Bonelli definisce “una forma di neocolonialismo che sottrarrà risorse alimentari all’Africa”. 

L’ambientalismo italiano, insomma, sta perdendo la battaglia per il futuro del pianeta, proprio di fronte all’ultima chiamata possibile. L’unico sprazzo di speranza arriva da Fridays for Future, la sola organizzazione realmente in grado di attivare un processo di mobilitazione popolare. “Noi creiamo piazze piene di persone, facciamo azioni, coinvolgiamo la gente, animiamo una collettività che possa poi richiedere dei cambiamenti concreti anche alla politica istituzionale” racconta al Green European Journal la portavoce di Fridays for Future Marta Maroglio, “Ma siamo e resteremo un movimento apartitico, perché al momento non c’è nessun partito politico che stia facendo ciò che sarebbe necessario”.  

Come Ultima Generazione, il movimento fondato da Greta Thunberg rifiuta di incanalare la protesta in un percorso istituzionale, ma proprio come Europa Verde contesta i metodi della disobbedienza civile utilizzati dagli eco-attivisti. Fridays for Future ha optato per la “terza via”, che consiste nell’abbracciare la lotta intersezionale e condividere le istanze di movimenti femministi, antirazzisti e queer. Un’alleanza degli oppressi che a ottobre del 2022 è sfociata nella manifestazione “Convergere per insorgere” di Bologna, che ha visto Fridays for Future e decine di migliaia di persone scendere in strada fianco a fianco con gli operai del colosso britannico dell’automotive Gkn, licenziati via mail nel 2021 dallo stabilimento toscano dell’azienda e da quel momento autori della più lunga occupazione di fabbrica nella storia italiana. Una saldatura tra rivendicazioni climatiche e lotte operaie destinata a diventare il laboratorio per ogni futura mobilitazione di massa sul clima e che potrebbe cambiare per sempre il volto del progressismo italiano. 

La strategia di Fridays for Future ha inoltre il pregio di slegare il discorso sulla crisi climatica dall’ottica generazionale, perché se è vero che le conseguenze più drammatiche dei cambiamenti climatici saranno visibili solo nel prossimo futuro, il costo della crisi sociale è già oggi sotto gli occhi di tutti. «L’esperienza con Gkn ci ha aiutato ad avvicinarci a questa generazione, diversa da quella che scende nei global strikes di Fridays for future. È stato un dialogo che ci ha fatto aprire gli occhi e ha fatto riflettere il movimento su tutte le connessioni che ci sono tra la crisi climatica e il mondo del lavoro» chiosa Maroglio, «la transizione ecologica non può non tener conto delle battaglie dei lavoratori, la crisi climatica non può diventare il pretesto per licenziare dei lavoratori». 

Un futuro da organizzare

La frammentazione nello spazio ambientalista italiano lo sta, di fatto, condannando alla marginalità. Ciò impedisce la traduzione di una coscienza ecologica all’interno del quadro politico nazionale, impresa che richiederebbe, invece, un impegno comune verso un unico obiettivo: approvare politiche volte alla sostenibilità ambientale, al rinnovamento energetico e alla protezione del clima e dell’ambiente. Questa mancanza di unità si traduce nella difficoltà di trasformare la mobilitazione della società civile in conseguenze politiche concrete. 

Questa realtà è rafforzata da una serie di contraddizioni strutturali intrinseche al dibattito pubblico italiano. Se da un lato, infatti, i media dedicano una copertura esigua alla crisi climatica, la maggioranza degli italiani ritiene che questa sia un problema estremamente grave. Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio di Pavia per Greenpeace Italia, nei primi quattro mesi del 2022 i principali telegiornali della sera hanno dedicato solamente lo 0,7 per cento dei propri servizi alla crisi climatica. Nel secondo quadrimestre la copertura è aumentata – anche grazie alle azioni dimostrative di Ultima Generazione – e i Tg hanno parlato di crisi climatica nel 2,5 per cento dei servizi, relegando comunque il tema ai margini. Nonostante ciò, i dati riportati dall’Eurobarometro dell’Unione Europea indicano che nel 2021 l’84 per cento degli italiani considerava il cambiamento climatico un problema molto serio.  

Allora perché alle elezioni politiche del 25 settembre 2022 Europa Verde ha ottenuto appena il 3,5 per cento dei voti? Il problema potrebbe risiedere nelle modalità di mobilitazione della risposta pubblica e, soprattutto, della risposta politica rispetto al tema. Secondo il politologo Gerbaudo, nel contesto attuale italiano è “necessario rivendicare che la politica climatica è una politica di senso comune e il senso comune vuole che si acceleri l’intervento su questo tema”..  

Senza un partito dei Verdi più forte è pero difficile capitalizzare elettoralmente la crescita dell’attivismo climatico. Europa Verde è il risultato di scissioni e confluenze, con una leadership che molti giudicano invecchiata. Il mondo ambientalista si trova così a metà strada tra una nuova fase di istituzionalizzazione, che già in passato si è rivelata fatale per il movimento, e una nuova opportunità organizzativa, come quella sperimentata da Fridays for Future. Probabilmente spetterà proprio alle nuove generazioni darsi delle strutture organizzative per evitare di essere assorbite nelle strutture esistenti, che non sembrano in grado di offrire uno spazio democratico alla partecipazione giovanile.