Nelle battaglie combattute in mastodontici complessi industriali e nella dipendenza dell’Ucraina dai proventi delle esportazioni di grano e dalle forniture militari sovietiche, l’eredità dimenticata dello sfruttamento economico dell’Ucraina da parte della Russia è un elemento determinante della guerra in corso. Lo storico dell’economia Nazar Gorin analizza come la lunga storia del colonialismo russo abbia plasmato lo sviluppo dell’Ucraina. Per secoli le ricchezze e le risorse del paese sono state sfruttate a beneficio del potere russo, mentre percorsi di sviluppo alternativi venivano preclusi.

L’Ucraina ha urgentemente bisogno di lasciarsi alle spalle l’eredità imperiale sovietica sulla sua politica e sulla sua cultura. Il desiderio ucraino di libertà linguistica e religiosa è stato a lungo bloccato dalla dipendenza economica dallo Stato centrale sovietico. 

Questa sottomissione risale a secoli fa. Fin dal Trattato di Pereyaslav del 1654, l’Ucraina ha gradualmente perso non solo la sua indipendenza politica, ma anche quella economica, a causa delle restrizioni imposte da Mosca agli affari e al commercio, del reindirizzamento delle entrate doganali e fiscali, e delle modifiche alle destinazioni di esportazione dei beni ucraini.

Il colpo più forte alle relazioni economiche con l’estero e allo sviluppo industriale dell’Ucraina (in particolare la produzione di metalli, armi, fertilizzanti, vetro e carta) giunse dopo la sconfitta della coalizione ucraino-svedese nei pressi di Poltava, nel 1709. In seguito l’utilizzo del potenziale industriale e agricolo ucraino per le esigenze del neonato impero russo (1721) divenne una questione politica. L’economia ucraina doveva essere integrata nell’economia statale russa, rafforzando la posizione internazionale della Russia a spese delle materie prime e della manodopera dell’Ucraina.

L’eredità zarista

La modernizzazione dell’industria ucraina, tra la metà del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo, mirava a sviluppare il mercato interno russo e ad aumentare le esportazioni del suo impero. In quel periodo il governo zarista russo incoraggiò gli investimenti stranieri nello sfruttamento delle risorse naturali e nello sviluppo di nuove attività economiche sul territorio dei governatorati ucraini. Di conseguenza nel sudest dell’Ucraina sorsero vaste industrie metallurgiche, carbonifere e di beni manifatturieri.

Alla vigilia della Prima guerra mondiale, la regione produceva il 78 per cento del carbone dell’impero, il 75 per cento del minerale di ferro, il 69 per cento della ghisa, il 67 per cento del ferro spugna, il 56 per cento dell’acciaio, il 58 per cento dei laminati e il 26 per cento dell’elettricità. Questi settori erano i motori del progresso dell’impero. Anche i proventi dell’esportazione di zucchero, cibo e cereali da foraggio prodotti in Ucraina riempivano in maniera importante i forzieri dell’impero.

Tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo fu costruita una rete ferroviaria per convogliare il grano, il carbone, lo zucchero e il minerale di ferro ucraini verso le altre regioni dell’impero. Il grano ucraino veniva esportato attraverso i porti del Mar Nero, del Mar d’Azov e del Baltico, e l’esercito imperiale russo ottenne un accesso strategico al territorio.

Secondo Mykhailo Volobuyev, un famoso economista ucraino degli anni Trenta del XX secolo, tra il 1893 e il 1910 la Russia ottenne dall’Ucraina quasi 3,3 miliardi di rubli, spendendone nello stesso periodo 2,6 per le necessità dell’Ucraina. La differenza andò a finanziare l’esercito imperiale e a sviluppare altre zone della Russia. L’Ucraina era una delle regioni più sviluppate dell’Impero russo, ma il suo status coloniale faceva sì che le sue infrastrutture industriali e le sue reti di trasporto fossero progettate nell’interesse del governo imperiale.

Trampolino di lancio per la svolta socialista

Nel dicembre 1925 i bolscevichi iniziarono un percorso d’industrializzazione, con un obiettivo ancora più ambizioso del mero rafforzamento del potenziale industriale del paese in condizioni di autarchia economica e di opposizione all’“ambiente capitalista”. Il sogno di Marx di una rivoluzione mondiale e della formazione di un’unione mondiale di repubbliche proletarie furono elevati al rango di ideologia e politica di stato della Russia sovietica. Al quinto congresso del Comintern del 1924, Grigorij Zinoviev dichiarò: “dovremo conquistare i cinque sesti della superficie terrestre in modo che esista un’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche in tutto il mondo!”. La creazione dell’Unione Sovietica nel 1922 era stato il primo passo verso questo obiettivo.

Con l’inizio dell’attuazione del piano di industrializzazione tutte le industrie pesanti furono subordinate agli organi di governo dell’Unione: i commissariati del popolo. Prevalse la visione staliniana della gestione economica, che si affidava al volontarismo nell’individuazione delle priorità e dei ritmi di sviluppo economico, nella pianificazione diretta dell’economia e nei metodi di gestione amministrativa e di comando. In un sistema strettamente centralizzato tutte le capacità economiche e le risorse naturali dell’Ucraina venivano gestite all’esterno dei suoi confini, dal “centro” dell’Unione.

Durante l’elaborazione dei primi piani quinquennali per lo sviluppo dell’economia nazionale, gli scienziati ucraini e i membri del Comitato di pianificazione statale della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina (Rssu) sostennero la necessità di uno sviluppo equilibrato dell’economia ucraina, criticando l’eccessivo centralismo e sostenendo la necessità di un’autonomia finanziaria e delle risorse. Tuttavia il comitato di pianificazione statale dell’Unione Sovietica trasformò lo sviluppo industriale ucraino in una riserva di materie prime ed energia utili all’industrializzazione di tutte le repubbliche dell’Unione, in particolare della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (Rsfsr).

Negli anni venti del novecento anche le esportazioni ucraine subirono dei cambiamenti. Tra 1927 e 1928, circa l’89 per cento dei prodotti ucraini, compreso il grano, veniva esportato verso le varie aree della Russia, con appena l’undici per cento delle esportazioni diretto ad altri Paesi. Questa tendenza si intensificò solo dopo il 1930, quando gli organismi dell’Unione Sovietica divennero responsabili di tutto il commercio estero della Rssu.

Le risorse dell’Ucraina furono utilizzate per rafforzare l’Unione Sovietica, costruire nuovi impianti industriali e sviluppare il potenziale militare e industriale del primo stato comunista del mondo.

Nel 1931 un sistema di dazi ferroviari ridusse il costo del trasporto merci, che cresceva con l’aumentare della distanza. Fu introdotto un bonus per massimizzare i carichi dei camion e fu introdotta una speciale tariffa ridotta per merci quali carbone, minerali, metalli, petrolio e legno, sovvenzionata dal bilancio dell’Unione. Queste nuove politiche miravano a promuovere lo sviluppo di nuovi distretti e a rafforzare i legami tra i centri industriali e i territori remoti e mal gestiti dell’Unione Sovietica. Le risorse e il potenziale industriale dell’Ucraina furono messi al servizio del complesso economico nazionale di tutta l’Unione Sovietica. Le locomotive di Luhansk, che viaggiavano sulle rotaie d’acciaio ricavate dai minerali di Kryvyi Rih nell’impianto metallurgico di Donetsk, trainavano vagoni prodotti nell’impianto di costruzione di Kharkiv, trasportando le materie prime ucraine e i prodotti industriali e agricoli verso il nord e l’est. Queste risorse furono utilizzate per rafforzare l’Unione Sovietica, costruire nuovi impianti industriali e sviluppare il potenziale militare e industriale del primo stato comunista del mondo.

L’Unione prima di tutto

La dirigenza sovietica si stava preparando alla guerra contro l’imperialismo globale, e lo sviluppo di una solida base industriale era una priorità. Secondo Valerian Kuybyshev, l’Unione doveva essere pronta “a passare rapidamente dalla costruzione pacifica del socialismo a respingere il mondo capitalista”. A causa della necessità di grandi volumi di prodotti industriali e della mancanza, al contempo, di personale qualificato e di attrezzature moderne, venivano costruite fabbriche gigantesche. Ma queste dimensioni si adattavano agli interessi dell’Unione Sovietica nel suo complesso piuttosto che a necessità legate a uno sviluppo armonioso dell’industria ucraina. I risultati furono disparità settoriali e squilibri strutturali nelle regioni della Rssu.

Tra le centinaia di attività industriali create, alcune meritano di essere menzionate: la Centrale di turbogeneratori di Charkiv, la più grande d’Europa all’epoca e una delle più grandi fabbriche di macchine utensili del mondo; la fabbrica di macchine utensili di Charkiv; la fabbrica di trattori di Charkiv e la fabbrica elettromeccanica di Charkiv; la fabbrica di Kuznia na Rybalskomu (Kiev); le fabbriche di automobili di Sumy e di Kiev; l’impianto di fabbricazione automobilistica e la fabbrica di ferroleghe di Zaporizhzhia; colossi metallurgici d’importanza mondiale come Azovstal, Zaporizhstal e Kryvorizhstal; la Interpipe Niko Tube (Fabbrica di tubi di Nikopol sud); e le numerose industrie del Donbas: la fabbrica di costruzione meccanica di Horlivka, quella di tubi di Khartsyzk, quella di mercurio di Mykytiv, quella di zinco di Kostyantyniv, quella di carbonato di sodio di Lysychansk e quella chimica di Rubizhne.

La fabbrica di alluminio di Dnipro (oggi gruppo Zaporizhzhia Aluminium Combine) era la più grande d’Europa all’epoca. Produceva alluminio chimico, silicio e magnesio ed era d’importanza strategica per l’industria della difesa dell’Unione Sovietica. La sua energia dipendeva dalla centrale idroelettrica di Dnipro, un progetto il cui sviluppo ha innalzato il livello delle acque locali, inondando più di cinquanta comunità. Uno sviluppo industriale così distruttivo per l’ambiente era raro nell’Europa occidentale del tempo. I settori metallurgico e carbonifero ucraini soddisfacevano le esigenze dei centri industriali russi. In particolare era il complesso militare-industriale a essere il consumatore finale di numerose industrie ad alta intensità di manodopera ed ecologicamente dannose: il loro sviluppo rispondeva alla dottrina politico-militare sovietica, non agli interessi degli ucraini.

In generale le attività industriali sovietiche svolgevano tre tipi d’attività: la fornitura di materie prime, quella di parti, e l’esecuzione di singole operazioni all’interno del processo produttivo. Nonostante l’ampia gamma di beni prodotti dalle fabbriche ucraine, come trattori, mietitrebbia e attrezzature per l’ingegneria mineraria, questi dipendevano ancora dalla meccanica di precisione, dalle installazioni radio e dalle apparecchiature di controllo e misurazione importate. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale, in Ucraina era concentrata più della metà di tutta la produzione di carbone, ghisa e minerale di ferro e circa la metà della produzione di acciaio di tutta l’economia nazionale dell’Unione Sovietica. Tuttavia, anziché essere lavorati in Ucraina, questi prodotti venivano forniti via treno alle fabbriche della Repubblica sovietica russa, della Repubblica socialista sovietica bielorussa e a quelle dell’Asia Centrale e della Transcaucasia.

Il risultato fu il permanere di uno stato di dipendenza economica, nonostante le capacità industriali proprie dell’Ucraina. Più di due terzi dei produttori industriali ucraini non disponevano di cicli di produzione tecnologici completi ed erano costretti ad affidarsi alla cooperazione produttiva, spesso estremamente irrazionale, con imprese di altre repubbliche dell’Unione. 

Per esempio,l’impianto Azovkabel di Berdyansk, in Ucraina, riceveva prodotti metallici fusi nelle città russe di Astrakhan e Kolchugino, nonostante potesse produrli da sé; l’impianto di assemblaggio di automobili di Odessa riceveva cavi elettrici dalle fabbriche di Mosca e, viceversa, l’impianto di attrezzature elettriche per trattori di Mosca li riceveva da Odessa, con un significativo aumento del costo dei prodotti finali. La zonizzazione economica, uno degli strumenti della politica sovietica di colonialismo industriale, mirava all’interdipendenza strutturale dei complessi economici dell’Unione. Questo intreccio creava così delle “salvaguardie interne” contro eventuali movimenti centrifughi delle repubbliche nazionali, rafforzando il potenziale militare dell’Unione Sovietica e promuovendo l’ideologia comunista.

“Repubbliche sorelle” nella “Famiglia delle nazioni fraterne”

A metà degli anni Trenta, lo sviluppo delle repubbliche orientali dell’Unione cominciò a intensificarsi gradualmente a causa delle strategie militari sovietiche e della riluttanza delle autorità a consentire lo sviluppo autosufficiente dell’economia della Rssu. Questa politica di zonizzazione economica e di livellamento spaziale fu sviluppata soprattutto dai pianificatori statali di Mosca e la Seconda guerra mondiale ne accelerò notevolmente l’attuazione.

In risposta all’offensiva tedesca in Ucraina da luglio a ottobre 1941, le autorità sovietiche evacuarono le imprese industriali e i macchinari industriali a est, spostandoli a Magnitogorsk, Zlatoust, Kuznetsk, Chelyabinsk, Ufa, Sverdlovsk e in altre città. La fabbrica di trattori di Charkiv fu smantellata e trasportata nel Territorio dell’Altaj, dove fu creata la fabbrica di trattori di Rubcovsk. Tutto ciò che era impossibile evacuare fu distrutto o inondato, in particolare le miniere, le attrezzature per l’estrazione del minerale di ferro e le fornaci metallurgiche. In totale più di 1.300 fabbriche di grandi dimensioni e decine di migliaia di camion carichi di attrezzature furono evacuati dall’Ucraina. Solo tra settembre a dicembre 1941 arrivarono a Nižnij Tagil 55.000 camion carichi di strumentazioni per la costruzione di macchine e per l’industria metallurgica. Dopo la fine della guerra, solo una piccola parte delle imprese evacuate fu trasferita nuovamente in Ucraina. Il resto, insieme ai lavoratori sfollati, continuò a lavorare nell’est del paese.

La produzione ucraina svolgeva un ruolo centrale nel rafforzamento dell’influenza e del dominio russo-sovietico nel mondo socialista.

Il modello di mobilitazione dell’economia sovietica e la priorità data alle esigenze dell’industria pesante causarono una carestia di massa in Ucraina dal 1946 al 1947. A differenza della carestia del 1932 e 1933 questa fu causata principalmente dalla scarsa efficienza della produzione agricola e dalla mancanza di macchinari e manodopera, ma tra le due esisteva anche un presupposto profondo comune: le risorse e i raccolti erano stati distribuiti e utilizzati dal “centro” dell’Unione Sovietica sia negli anni Trenta che negli anni Quaranta.

La politica di “livellamento” regionale e i tentativi di risolvere il problema alimentare portarono a un progetto di sviluppo delle terre vergini e incolte nell’est dell’Urss. Il progetto prevedeva di dissodare oltre 43 milioni di ettari di terreno, che non erano mai stati coltivati prima, in Kazakistan, Siberia, nella regione del Volga e negli Urali. È superfluo dire che, per l’attuazione di questo piano su larga scala, furono sottratti fondi e personale all’Ucraina, che era la repubblica più ricca in termini di sviluppo, e con un maggiore know-how, grazie alla sua tradizione agricola e al suo grande numero di specialisti agrari. Solo tra il 1954 e il 1955, più di 93.000 operatori di macchine, costruttori, ingegneri, tecnici e altri specialisti agricoli ucraini si recarono in Kazakistan per sviluppare le terre vergini, così come 54 aziende agricole statali furono dotate di personale ucraino. Più della metà dei diplomati degli istituti agrari, veterinari e zootecnici, delle scuole tecniche e delle università dell’Ucraina furono inviati a lavorare in maniera permanente nelle steppe kazake. Consumando il grosso degli investimenti agricoli statali, il programma delle terre vergini esauriva anche le risorse umane e materiali delle regioni tradizionalmente agricole della parte europea dell’Urss, in primo luogo dell’Ucraina.

Cresce il numero delle “Sorelle”

La ripresa dell’economia ucraina nel dopoguerra ha dato la priorità agli investimenti volti ad aumentare la produzione per l’esportazione verso gli stati membri del Consiglio di mutua assistenza economica (Cmea). Composta da stati del blocco orientale, l’organizzazione fu costituita nel 1949 per competere con quella che allora si chiamava Comunità economica europea. Le esportazioni erano completamente controllate dal ministero del commercio estero dell’Urss in base agli interessi politici e strategici di Mosca. Queste esportazioni contribuirono allo sviluppo industriale della Repubblica Democratica Tedesca, della Cecoslovacchia, della Bulgaria, dell’Ungheria, della Polonia e di altri paesi, rafforzando il blocco europeo dei paesi socialisti.

La gamma e le destinazioni di vendita dei prodotti ucraini si ampliavano costantemente. Intorno alla metà degli anni ottanta, più di mille imprese ucraine esportavano i loro prodotti verso 105 paesi. In tutto l’Ucraina generava circa un quarto delle esportazioni dell’Unione Sovietica. Di queste, carburanti, metalli e materie prime minerali ne rappresentavano circa la metà, mentre le attrezzature e le macchine (veicoli, trattori, locomotive a combustione interna, locomotive elettriche, camion, turbine, generatori, motori, forni elettrici, trasportatori a raschiamento) ne rappresentavano il 25 per cento; e i prodotti dell’industria alimentare circa il 10. I guadagni in valuta estera ricevuti venivano ridistribuiti attraverso il bilancio dell’Unione Sovietica in modo estremamente inefficiente. Le consegne, inoltre, venivano spesso effettuate a prezzi ridotti o addirittura gratuitamente, cioè come “aiuto fraterno” ai regimi democratici popolari. Il governo sovietico cercò così di dimostrare al mondo i vantaggi del socialismo e di un sistema economico pianificato. Quando gli stati dell’Europa occidentale, in risposta alla crisi energetica della metà degli anni Settanta, introdussero attivamente nella produzione i risultati dei progressi scientifici e tecnici, l’Unione Sovietica aumentò l’esportazione di risorse energetiche e materie prime, rallentando l’innovazione economica.

La capacità industriale e l’alto potenziale di esportazione dell’Ucraina furono utilizzati per sostenere e rafforzare il settore pubblico nelle economie dei paesi socialisti e del cosiddetto “Terzo mondo”. Le autorità sovietiche inviarono inoltre i loro ingegneri e specialisti in questi paesi perché fornissero la loro assistenza nell’uso e nella manutenzione delle attrezzature ricevute. In quel periodo l’Unione Sovietica armò, segretamente e in maniera sostenuta, i paesi asiatici e africani, spesso con prestiti o sussidi, per sostenere i movimenti comunisti nazionali.

Queste esportazioni cementarono le sproporzioni strutturali dello sviluppo economico della RSS Ucraina. Mentre lo sviluppo tecnico ed economico dell’Unione Sovietica ne rafforzava la leadership nel mondo socialista, la produzione ucraina rimaneva centrale nel rafforzamento dell’influenza e del dominio russo-sovietico.

Legami diventati catene

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e il raggiungimento dell’indipendenza, l’Ucraina ha pagato per trent’anni anni le conseguenze dell’integrazione pianificata a livello centrale nell’ambito di un unico complesso economico nazionale. Nel complesso la politica economica sovietica nei confronti dell’Ucraina ha tutte le caratteristiche di una relazione coloniale.

L’Ucraina è stata privata della capacità di definire il proprio destino in materia di decisioni economiche, di gestione e di amministrazione della sua ricchezza nazionale. Le sue risorse naturali, la sua produzione e il suo potenziale umano sono stati utilizzati per decenni nell’interesse di Mosca. Grazie ai legami tra settori e all’interno di ciascun settore, la centralizzazione finanziaria e la distribuzione pianificata di risorse e prodotti, l’Ucraina è stata spinta a dipendere da altre parti dell’Unione Sovietica. Queste condizioni hanno portato l’Ucraina a non avere opportunità di sviluppo al suo interno, impedendole di accedere ai mercati esteri con i suoi prodotti finali, e minando completamente le potenziali autonomia economica e indipendenza statale.

Tra le conseguenze economiche del colonialismo industriale russo-sovietico in Ucraina ci sono la dipendenza in materia di produzione ed esportazione agricola e di materie prime, la dipendenza in materia di tecnologia e investimenti stranieri, e la preponderanza di filiere di produzione “corte”, senza cicli completi. L’Ucraina non è un fornitore competitivo nei settori produttivi ad alto valore aggiunto. Una specializzazione molto limitata e la diffusa standardizzazione – caratteristiche dell’industria sovietica – hanno creato un sistema di dipendenza economica, la cui conservazione e il cui perpetuarsi vanno contro l’interesse nazionale dell’Ucraina e minano direttamente non solo la sicurezza economica, ma anche le capacità di autodifesa del paese.

Questa eredità sovietica è oggi direttamente responsabile delle esportazioni di materie prime a bassa tecnologia (che oggi la Federazione Russa blocca) e della dipendenza dell’Ucraina dalle importazioni (soprattutto dalle forniture dalla Russia). I principali importazioni dalla Russia fino al 24 febbraio 2022 erano rappresentate da gas, derivati dalla raffinazione del petrolio, prodotti dell’industria chimica, combustibile e strumentazione nucleari. Queste risorse sono state spesso sfruttate come strumenti di pressione politica sulle autorità ucraine e ostacoli alla trasformazione strutturale dell’economia ucraina. Eppure, nella seconda metà del ventesimo secolo, l’Ucraina ha esportato più di cinquecento miliardi di metri cubi di gas verso le repubbliche dell’Unione Sovietica. Un simile quantitativo avrebbe permesso all’Ucraina di coprire il suo attuale fabbisogno di questa risorsa strategica per vent’anni. Inoltre sono stati gli specialisti ucraini dell’impresa Ukrburgaz a perforare con successo il giacimento di Urengoy, nella Siberia occidentale, a una profondità di oltre tre chilometri, all’inizio degli anni Ottanta, avviando così la produzione di gas nell’allora più grande giacimento del mondo e aumentando la capacità di esportazione dell’Unione Sovietica.

La decisione della Federazione Russa di chiudere il proprio mercato all’Ucraina nel 2013 ha portato a una significativa riduzione del volume della produzione e delle esportazioni degli stabilimenti ucraini di fabbricazione di macchinari. Ha inoltre reso più complicate le operazioni dell’industria aeronautica, che collaborava con le aziende russe. In epoca sovietica circa il 17 per cento del complesso produttivo militare-industriale era concentrato sul territorio ucraino, ma non esisteva un ciclo completo per la produzione di munizioni. Acciai speciali, cartucce, detonatori e altri componenti venivano sviluppati e prodotti in altre repubbliche dell’Unione Sovietica. L’Ucraina ha ereditato questo modello di produzione di armi, oltre alle scorte sovietiche di armi e munizioni, che la mettono a rischio nella guerra attuale.

Il motivo principale della guerra lanciata dalla Russia è il tentativo di riportare l’Ucraina sotto il proprio controllo per garantire la reincarnazione dell’impero russo-sovietico. Si tratta della diretta prosecuzione della politica economica di dipendenza, sottomissione e sfruttamento: una politica coloniale.

L’Ucraina deve finalmente liberarsi del suo passato coloniale e spezzare queste catene per diventare un membro a pieno titolo della comunità democratica globale, aprendo la strada a uno sviluppo libero e a una cooperazione internazionale basata sul rispetto e su relazioni economiche reciproche e paritarie.

Questo articolo è pubblicato in collaborazione con Share the Truths. Segui il progetto per ricevere aggiornamenti quotidiani sulla guerra in Ucraina, vista col prisma della sicurezza umana, scritti da attivisti e membri della società civile ucraina, e analisi approfondite sul colonialismo russo in Ucraina.