Il Green Deal europeo sta finalmente implementando le norme ambientali necessarie alla transizione verde dell’Europa, ma con una dimensione sociale frammentata e debole. Con un inverno difficile alle porte, Bela Galgóczi dell’Istituto sindacale europeo sostiene che le sfide sociali dell’Europa sono più urgenti che mai.

Questo articolo è pubblicato in collaborazione con Das Progressive Zentrum. The Green European Journal è media partner del Progressive Governance Summit organizzato a Berlino il 13 ottobre 2022.

Il Green Deal europeo è un progetto incredibilmente ambizioso. La transizione verso un’economia a zero emissioni entro il 2050 comporta una revisione radicale del nostro modello di crescita lineare, estrattivo e basato sui combustibili fossili, e avrà forti ripercussioni sull’occupazione e i mezzi di sostentamento, sulle condizioni di lavoro e le competenze richieste dal mercato. Inoltre, la normativa europea sul clima ha stabilito per il 2030 l’obiettivo intermedio vincolante di una riduzione del 55 per cento (rispetto ai livelli del 1990) delle emissioni di gas serra.

Fin dall’inizio, la Commissione ha sostenuto che le politiche climatiche e ambientali, con i loro obiettivi ambiziosi, dovranno essere accompagnate da politiche sociali inclusive: nessuno dovrà essere lasciato indietro. Ma è davvero così?

Da un lato, il pacchetto di misure climatiche “Fit for 55”, annunciato dalla Commissione europea nel 2021, ha dissipato il timore che il Green Deal potesse ridursi a meri obiettivi ambiziosi, senza nessuna conseguenza concreta. Dall’altro, ha messo chiaramente in evidenza il forte impatto sociale e occupazionale della transizione. 

In un solo anno, la Commissione ha messo sul tavolo più di una decina di proposte legislative, con misure volte a raggiungere gli obiettivi climatici vincolanti previsti dalla normativa europea sul clima. Gli strumenti legali esistenti, come il sistema per lo scambio di quote di emissioni e la direttiva che prescrive il passaggio alle energie rinnovabili, saranno rivisti. Verranno create nuove norme, come il meccanismo di adeguamento della CO2 alle frontiere. Queste misure avranno come scopo dare impulso alla più grande trasformazione dell’economia europea dai tempi della rivoluzione industriale. Non saranno tuttavia prive di conseguenze sociali, che a loro volta possono compromettere gli obiettivi climatici. Prendiamo ad esempio i limiti di emissione stabiliti per automobili e furgoni: sono parametrati al peso, così da permettere ai veicoli più grossi e più pesanti di emettere più CO2. Di conseguenza, le automobili sono diventate più pesanti, più potenti e più costose, compromettendo una parte significativa della riduzione di emissioni ottenuta e rendendo più costosi anche i nuovi veicoli a basse emissioni, e creando, di conseguenza, nuove disuguaglianze.

Una direzione nuova?

Nonostante le ambizioni, tutte queste politiche climatiche non hanno ancora determinato una nuova direzione della politica economica dell’Ue. Il Green Deal, e in particolare i suoi pacchetti di norme attuative, rispondono ancora a una visione incentrata sulla crescita. Il piano d’azione della Commissione per l’economia circolare, varato nel 2020 promette, per esempio, una crescita economica continua svincolata dall’uso delle risorse, una competitività a lungo termine e varie opportunità commerciali. Il pacchetto “Fit for 55” della Commissione parla del Green Deal come della “nostra strategia per la crescita e la competitività”.

Il Green Deal europeo inoltre è modellato sull’economia del libero mercato. Il pacchetto “Fit for 55” è accompagnato da un documento della Commissione preoccupata dal fatto che “un’eccessiva dipendenza da misure di regolamentazione rafforzate determinerebbe oneri economici inutilmente elevati”. Affidandosi alla determinazione del prezzo dell’anidride carbonica come leva centrale per l’adeguamento economico e sociale, il Green Deal europeo confida nel fatto che le dinamiche di mercato esistenti reagiscano agli incentivi di prezzo in maniera prevedibile. Per di più, il quadro di governance economica dell’Ue resta dominato da rigide regole di politica fiscale, e resta nel complesso dominato da un’agenda politica neoliberale, sebbene nel semestre europeo siano stati integrati gli indicatori sociali collegati ai venti principi del Pilastro europeo dei diritti sociali.

Oltre agli strumenti legislativi espressamente previsti dal Green Deal, si prevede che anche altri ambiti normativi europei si allineino al Green Deal. Nell’ambito del piano di ripresa Next Generation EU, ci si aspetta che gli stati membri spendano il 37 per cento dei fondi per la ripresa in progetti che contribuiscano alla transizione verde. Un’ottimizzazione simile si applica ad altre parti del bilancio dell’Ue, non sempre senza controversie. La coerenza con il Green Deal di alcuni importanti ambiti di intervento, prima fra tutti la politica agricola comune, rimane discutibile. 

La dimensione sociale mancante

Cosa possiamo dire della dimensione sociale della transizione verde e nello specifico del Green Deal? Il cambiamento climatico, così come le politiche di mitigazione e adattamento, creerà vincitori e perdenti e rischia di esacerbare le disuguaglianze sociali. Riconoscendo questo aspetto, nel 2019 l’annuncio del Green Deal comprendeva l’impegno a “non lasciare indietro nessuno”. Ma per quanto i policymaker abbiano sostenuto che una transizione giusta debba essere parte integrante del quadro delle politiche climatiche dell’Ue, le iniziative di politica sociale e occupazionale sono rimaste frammentate e accessorie. Questi limiti sono stati evidenziati nel luglio del 2021, quando è stato annunciato il pacchetto “Fit for 55” e dal dibattito politico europeo è emerso che alcuni elementi del pacchetto avrebbero avuto effetti diretti sulle famiglie.

L’Ue dispone di un Fondo per la transizione giusta, il primo pilastro del Meccanismo per una Transizione giusta compreso nel Green Deal. Il fondo dispone di risorse limitate (17,5 miliardi di euro, ai prezzi del 2018) perlopiù destinate ad aiutare le regioni che hanno un’economia basata sul carbone a gestire gli effetti sociali della sua dismissione. Si tratta di un obiettivo estremamente importante che però riguarda solo una piccola parte delle persone interessate dalla transizione ecologica. I settori più colpiti, come l’industria dell’auto e i settori industriali più energivori, non dispongono di strumenti e fondi dedicati. 

Affidandosi alla determinazione del prezzo dell’anidride carbonica come leva centrale per l’adeguamento economico e sociale, il Green Deal europeo confida nel fatto che le dinamiche di mercato esistenti reagiscano agli incentivi di prezzo in maniera prevedibile.

Il Fondo sociale per il Clima recentemente annunciato ha un obiettivo molto specifico: ridurre gli effetti collaterali distributivi dannosi del nuovo sistema di scambio di emissioni per gli edifici e i trasporti. Il Fondo ha come obiettivo dichiarato quello di affrontare le questioni sociali, sostenendo la transizione delle famiglie e dei cittadini più vulnerabili, ma potrebbe non bastare. Un potenziale di 72,2 miliardi di euro distribuito su sette anni, finanziato con il 25 per cento delle entrate previste, non sarà sufficiente per affrontare i problemi che ci aspettano. Inoltre, la sua gestione potrebbe rappresentare un rischio per la tenuta delle istituzioni di alcuni degli stati membri. La Commissione ha proposto agli stati membri di contribuire con il doppio di questa somma (quindi 144,4 miliardi di euro), usando una parte dei proventi delle aste.

La Commissione ha anche accolto una raccomandazione non vincolante del Consiglio su come assicurare una transizione giusta verso la neutralità climatica, per fornire orientamento agli stati membri su come affrontare gli effetti sociali e occupazionali della transizione. È un segnale positivo, che implica che gli aspetti occupazionali e distributivi della politica sul clima sono stati riconosciuti al più alto livello politico. Eppure, la sua formulazione vaga lascia un ampio margine di discrezionalità agli Stati membri, che possono decidere di conformarvisi a loro piacimento. I risultati di queste misure dipenderanno inevitabilmente dalle pressioni politiche esercitate nel quadro del semestre europeo, che verrà usato per monitorarne il recepimento.

L’importanza del dialogo sociale per sostenere e gestire la profonda ristrutturazione richiesta da un’economia circolare a zero emissioni è stata riconosciuta anche dalla Commissione. Contrariamente alle politiche neoliberali perseguite dopo della crisi dell’Eurozona, quando il dialogo sociale e le strutture di negoziazione collettiva come strumento di gestione della crisi sono state smantellate, oggi il dialogo sociale rafforzato è diventato una priorità. La raccomandazione del Consiglio e la recente Direttiva europea sui salari minimi riflettono questo cambiamento.

La discussione sui diritti fondamentali in quanto tali è però largamente assente dal Green Deal. Vi è un riferimento al Pilastro europeo dei diritti sociali ma non vi è alcun collegamento con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, né con altre norme internazionali come la Carta sociale europea o le Convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro.

Una transizione giusta è più urgente che mai

Siamo però ben lontani dal quadro di transizione giusto e inclusivo di cui l’Europa ha bisogno. A differenza delle rigorose misure di politica ambientale e climatica, gli elementi sociali del pacchetto “Fit for 55” sono frammentati e la raccomandazione del Consiglio non è legalmente vincolante. A oggi, questi sforzi disomogenei per garantire una transizione “giusta” o “equa” non sono all’altezza dell’enorme compito che ci aspetta, ovvero affrontare le sfide sociali lungo la strada verso un’economia a zero emissioni.

La tragedia dell’Ucraina ha cambiato le carte in tavola: l’Ue si è svegliata e si è resa conto di poter mettere fine alla sua dipendenza dai combustibili fossili della Russia solo accelerando la trasformazione energetica. È questa la logica del piano REPowerEU. Sebbene non vi siano dubbi sulla direzione da prendere sul medio-lungo periodo, gli effetti a breve termine della crisi energetica stanno mettendo a rischio il sostentamento di decine di milioni di europei, e rischiano di compromettere e far deragliare il piano di abbandono dei combustibili fossili.

Quest’inverno l’Europa sta affrontando una prova fondamentale, uno stress test sia per il modello sociale europeo che per il Green Deal. Non ci sono alternative: l’Europa deve accelerare la transizione ecologica ed evitare compromessi sugli obiettivi delle politiche climatiche, affrontando allo stesso tempo una tripla ingiustizia: coloro che generano il minore impatto di CO2 soffrono di più gli effetti della transizione e si trovano ad affrontare l’aumento dei prezzi dell’energia disponendo di una minore capacità di adattamento. Il tutto all’interno di un contesto geopolitico completamente rinnovato.