Le proiezioni scientifiche sulla situazione climatica sono ormai indiscutibili: questo ha portato molti dei partiti populisti di destra europei ad abbandonare le posizioni di riufiuto e negazione, per trasformare il loro approccio verso questione ambientale. La minaccia del cambiamento climatico si rivela, oggi, adeguatamente riformulata, un argomento perfetto per soddisfare l’agenda politica nazionalista. In questo articolo Lluis de Nadal analizza la retorica, in evoluzione, del partito spagnolo VOX e l’emergere in Europa di una forma di ideologia ambientalista basata sull’identità.

Il partito populista di destra spagnolo VOX è un noto negazionista del cambiamento climatico. Questo è il motivo per cui molti analisti hanno interpretato il suo successo elettorale — il partito è oggi il terzo più grande nel Parlamento spagnolo, ed stato fondato nel 2013 con l’obiettivo di difendere l’unità nazionale dalla minaccia secessionista catalana — come un’ulteriore prova che viviamo in un’epoca di “post-verità”, un’epoca in cui le emozioni hanno più peso dei fatti oggettivi. Uno sguardo attento allo sviluppo dell’agenda di VOX sul cambiamento climatico ci rivela però un quadro più complicato e preoccupante.

Non c’è dubbio che, durante la maggior parte della sua breve storia, VOX abbia diffuso disinformazione sulla gravità della minaccia del riscaldamento globale, minimizzandone i pericoli. Prendendo in prestito la retorica di Trump, VOX ha spesso parlato del cambiamento climatico come una bufala e del movimento ambientalista come di un complotto globalista contro la sovranità nazionale e la prosperità.

La giustificazione di uno dei suoi deputati, Francisco José Contreras, nell’opporsi alla prima legge spagnola sul cambiamento climatico, racchiude l’atteggiamento sprezzante del partito verso la questione. Durante una sessione parlamentare dei primi di aprile del 2021 , Contreras ha affermato che il riscaldamento globale potrebbe rivelarsi non essere una cosa così negativa perché “ridurrà la mortalità dovuta al freddo”.

Non sorprende che i critici di VOX abbiano colto l’occasione per ridicolizzare la tattica del partito. “Certo, e più siccità ridurrà la mortalità causata dall’annegamento”, ha scherzato un utente di Twitter. Uno dei principali quotidiani spagnoli si è unito alla polemica, con un articolo intitolato “Uno, Grande e Caldo”, un gioco sul motto nazionalista di Franco “Una, Grande y Libre” (Una, Grande e Libera).

L’ironia è comprensibile, soprattutto da parte di chi basa le sue opinioni sui dati scientifici: VOX ha dimostrato in diverse occasioni disprezzo di VOX per il movimento ambientalista. Questo atteggiamento, tuttavia, rischia di distogliere la nostra attenzione dagli sviluppi critici dell’agenda climatica di VOX. Questo atteggiamento, e simili tentativi di delegittimare VOX etichettandolo come “post-verità”, possono portarci a non cogliere le sfumature del complesso impegno del partito verso la scienza del clima.

VOX: un caso di negazione del cambiamento climatico?

Bisogna sottolineare che VOX ha raramente rifiutato la scienza del clima di per sé, come l’etichetta “post-verità” suggerirebbe. Più spesso, la retorica anti-ambientale di VOX è stata diretta contro le cosiddette “élite ambientali” accusate di usare le competenze scientifiche per evitare la contestazione politica e legiferare contro gli interessi del “popolo”. Come ha sostenuto il leader di VOX Santiago Abascal, la questione principale in gioco non è la prova del cambiamento climatico, che il suo partito accetta, ma la tendenza “totalitaria” a sottomettere la politica climatica ai dettami della comunità scientifica. “La nostra preoccupazione”, ha insistito, “è il sorgere di una religione del clima con la quale non è permesso dissentire”.

Dobbiamo anche tener conto del fatto che la posizione di VOX nei confronti del cambiamento climatico ha subito, se non un cambiamento nelle idee, almeno un cambiamento di tono. Prendiamo, per esempio, il discorso di Abascal durante la sua mozione di sfiducia (fallita) contro il Governo spagnolo nell’ottobre 2020. Dopo aver denunciato l’ipocrisia delle élite ambientaliste che fanno la morale sul cambiamento climatico, ma viaggiano sui loro jet privati ai summit internazionali, ha delineato l’alternativa di VOX alla politica climatica del Governo “che distrugge posti di lavoro”.

Due proposte chiave incluse nell’agenda verde di VOX —che Abascal definisce “vera ecologia” — erano la creazione di una “autarchia energetica” nazionale e la reindustrializzazione della Spagna nella direzione di un’economia verde. Abascal profetizzava che queste politiche avrebbero creato nientemeno che un “miracolo economico e ambientale”, realizzando una “Spagna verde, pulita e prospera, industrializzata e in armonia con l’ambiente”.

Negli ultimi mesi, VOX ha raddoppiato gli sforzi per consolidare la sua strategia ambientale in collaborazione con i suoi partner del Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei (European Conservatives and Reformists Group, ECR) al Parlamento europeo. Lo sviluppo di un’alternativa all’agenda dell’Ue sul cambiamento climatico è stato uno dei temi principali della riunione dell’ECR a Madrid all’inizio di luglio 2021.

Abascal ha insistito con forza sull’importanza di questo compito, definendolo “una delle principali sfide che il movimento conservatore europeo dovrà affrontare nei prossimi decenni”. In netto contrasto con la percezione che i partiti populisti di destra negano la realtà del riscaldamento globale, Abascal ha posto la conservazione del “patrimonio naturale” al centro della soluzione “patriottica” del gruppo al cambiamento climatico.

Il passaggio di VOX dal negazionismo al “conservatorismo” fa eco ai recenti sviluppi dell’agenda ambientale della destra populista europea. Come mostra un recente studio del think tank ambientale Adelphi, un numero crescente di partiti populisti sposa un cosiddetto patriottismo verde che critica le politiche di transizione climatica ed energetica, ma che è fortemente a favore della “conservazione ambientale”. Quindi, anche se molti sono ostili alle politiche di sostegno al multilateralismo e alla cooperazione internazionale, sono “relativamente positivi sui temi ambientali”.

Uno dei principali promotori di questo cambiamento è il Rassemblement National (RN) francese, precedentemente noto come Front National. Intorno alla metà degli anni 2010, quando la maggior parte delle sue controparti europee stava ancora negando il cambiamento climatico antropogenico, il RN ha iniziato ad allontanarsi dalla vecchia retorica anti-ambientale per andare verso un discorso ideologico che pone la protezione dell’ambiente locale e nazionale in una posizione centrale.

L’ascesa del “patriottismo verde”

Fin dalla sua nascita nei primi anni Settanta, il RN è stato un modello per molti partiti populisti di destra europei che sono arrivati dopo di lui. In particolare, il RN ha iniziato il processo di diffusione transnazionale del quadro populista etno-nazionalista e antipolitico che ha dato origine a questa famiglia di partiti.

Il RN è stato anche il pioniere degli sforzi per espandere il bacino elettorale della destra populista attraverso l’appello agli elettori della classe operaia.

Questi, infatti, risentiti dalla marea crescente di valori liberali cosmopoliti e, in particolare sulla scia della crisi economica del 2008, si sono sentiti abbandonati dalla sinistra tradizionale che ha abbracciato le politiche di austerità. Più recentemente, il RN ha anche agito da catalizzatore per un cambiamento ideologico con profonde implicazioni per la società europea investendo sulla questione del cambiamento climatico.

Durante la maggior parte della sua storia il RN non ha mostrato particolare interesse per l’ambiente. Il suo fondatore, Jean-Marie Le Pen, ha negato che il cambiamento climatico fosse causato dall’uomo e ha notoriamente ridicolizzato le preoccupazioni ambientali come un passatempo “bobo” (o borghese-boemo, una definizione francese di una sedicente classe borghese intellettuale e di sinistra, ndt).

Praticamente, nella piattaforma del Partito per le elezioni presidenziali del 1995, 2002 e 2007, per citare solo alcune recenti competizioni elettorali, non c’è nessuna proposta politica relativa all’ambiente. Ma, alla luce del fatto che la questione del cambiamento climatico si è spostata sempre più al centro della scena nell’ultimo decennio, il RN ha deciso che non poteva più essere ignorata.

Nel 2014, la leader del RN, Marine Le Pen, ha lanciato Nouvelle écologie (“Nuova ecologia”), un movimento eco-nazionalista che si oppone ai negoziati internazionali sul clima e che vuole offrire una risposta “patriottica” e “realistica” al cambiamento climatico. Da allora ha tenuto diversi discorsi proponendo di fare dell’Europa la “prima civiltà ecologica del mondo” e promuovendo una visione nazionalista e identitaria dell’ambientalismo, radicata nell’idealizzazione tradizionale della terra da parte della destra.

Sebbene la creazione di “Nouvelle écologie” costituisca una rottura radicale con il passato negazionista del RN, possiamo leggere questa iniziativa come una naturale estensione degli obiettivi tradizionali e nazionalisti del Partito. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che le preoccupazioni fondamentali a favore dell’ambiente, come il consumo di prodotti coltivati localmente e lo sviluppo di un rapporto più organico con l’ambiente locale, coincidono perfettamente con l’enfasi storica del RN sul rafforzamento dei confini e la protezione dell’identità francese contro gli effetti omogeneizzanti della globalizzazione.

L’artigiano dell’ideologia ambientalista basata sull’identità del RN è Hervé Juvin, un intellettuale che serve come rappresentante del RN al Parlamento europeo e nella regione francese del Pays de la Loire. Come l’ex capo della strategia di Trump, Steve Bannon, Juvin sostiene una versione del conflitto di civiltà tra visioni del mondo nazionaliste e globaliste, tra tradizione e modernità. Contro la cosiddetta uniformazione delle culture e delle identità portata dalla globalizzazione neoliberale, Juvin invoca un “localismo” identitario ed ecologico che implica la limitazione degli accordi commerciali, il sostegno alle industrie locali e la limitazione dell’immigrazione.

Oltre a intrecciare le preoccupazioni contemporanee per il cambiamento climatico con temi storici nazionalisti, l’ideologia identitaria di Juvin riprende le classiche formule biologiste dell’estrema destra europea. Per esempio, descrive gli avversari politici come “parassiti” e attinge al mito della nazione come uno spazio “puro” che deve essere protetto dalle invasioni straniere. Una delle principali conquiste di questa ideologia è proprio la sua capacità di integrare temi nazionalisti, biologisti e ambientali in un quadro apparentemente coerente. Preoccupazioni seppure diverse e separate, come la conservazione degli ecosistemi naturali, la rivitalizzazione dell’industria locale e la protezione dell’identità nazionale, coesistono e interagiscono nell’amalgama ideologico di Juvin.

Anche su questo ritengo che sarebbe pericolosamente impreciso identificare il nuovo approccio ecologico del RN con il fenomeno della “post-verità”. E questo perché ciò che Juvin rifiuta non è la scienza del clima, ma l’uso della scienza per sostenere una visione del mondo neoliberale che subordina i valori umani allo sviluppo tecnologico e mette in pericolo sia il particolarismo culturale che quello biologico.

Al centro della versione di Juvin del patriottismo verde c’è un ripudio dei fondamenti filosofici del modello neoliberale in favore di una “scienza basata sull’ecologia” che concepisce la “diversità collettiva” come un “valore superiore” a cui tutti gli altri valori, dallo sviluppo ai diritti umani e alle libertà individuali, devono essere sottoposti.

Populismo ambientale internazionale e transnazionale

Negli ultimi anni, la rivendicazione della sovranità nazionale delle politiche ambientali da parte dei partiti populisti di destra europei è diventata un argomento di crescente preoccupazione. Per descrivere l’uso del cambiamento climatico da parte di questi partiti a sostegno delle agende nazionaliste  termine è stato coniato “nazionalismo climatico“.

Molto meno analizzata, ma altrettanto preoccupante, è la crescente cooperazione populista “internazionale” sul cambiamento climatico.

La collaborazione di VOX con i suoi partner europei per costruire un’agenda ambientale comune è un esempio perfetto di questo fenomeno emergente. Oltre all’incontro di Madrid sopra menzionato, il gruppo ECR ha tenuto diversi seminari negli ultimi anni, alla ricerca di formule per conciliare un impegno storico per lo sviluppo economico con la nuova preoccupazione di proteggere l’ambiente. Questi seminari fanno parte dello sforzo dell’ECR per concepire un’alternativa di libero mercato all’approccio della politica climatica dell’Ue, che il gruppo condanna perché impone “oneri inutili e costosi sulle imprese”.

I partiti populisti di destra sono stati storicamente riluttanti a lavorare insieme, in parte a causa dei loro programmi nazionalisti contrastanti e dalla loro paura di essere contaminati dalla cooperazione. Nell’ultimo decennio, al contrario, hanno invece lavorato per espandere e approfondire la loro cooperazione in diverse aree.

Questa strategia di cooperazione è motivata dal fatto che questioni fondamentali e di lunga data per la destra populista, come l’immigrazione e il terrorismo, sono sempre più percepite dai cittadini di tutto il continente come questioni europee pressanti che richiedono un’azione internazionale. La crescente centralità del cambiamento climatico all’interno della società europea spiega anche probabilmente perché il tema è si rapidamente spostato in cima alla loro agenda.

Un altro fenomeno strettamente correlato a questo e che merita attenzione è l’ascesa del populismo “transnazionale“. La differenza tra populismo internazionale e transnazionale è sottile: il primo descrive la cooperazione tra partiti e movimenti organizzati a livello nazionale, il secondo è, invece, il tentativo di costruire un “popolo” che vada oltre lo stato nazionale. Un caso che ben illustra il populismo transnazionale è la pretesa di Hugo Chávez di agire non solo per conto del “popolo” del Venezuela ma, di quello di tutta l’America Latina. Anche Occupy Wall Street e il movimento degli Indignados del 2011 possono rientrare in questa categoria, poiché hanno costruito un’identità collettiva — il 99 per cento — con il potenziale di trascendere i confini nazionali.

Questo fenomeno, il populismo transnazionale, può essere osservato anche nel contesto del Parlamento europeo. Un recente studio sulla cooperazione populista a livello europeo mostra che molti partiti uniscono e intrecciano il populismo internazionale e il populismo transnazionale presentandosi come salvatori non solo della loro nazione, ma dell’Europa intera. Lo studio mostra che, alla nota difesa dei “popoli” nazionali dagli stranieri e dalle élite corrotte, questi partiti hanno aggiunto il tema della difesa di un cosiddetto “popolo europeo dalle élite e dall’ ‘altro pericoloso’ a livello continentale”.

Finora, nessun “altro” inteso come pericolo è stato più additato dalla destra populista europea dei musulmani, che sono stati ritratti come la principale minaccia alla sovranità, all’identità e alla sicurezza degli europei (che sarebbero “cristiani”). Nei prossimi anni, è molto probabile che il riscaldamento globale si unisca al tema dell’Islam come una delle principali minacce da cui gli europei devono essere “protetti”. La retorica di Juvin sul conflitto di civiltà e il suo tentativo di legare le preoccupazioni ambientali con la difesa dei valori occidentali vanno già in questa direzione.

Cambiamento climatico: la prossima guerra culturale?

Sempre più europei vedono il cambiamento climatico come una minaccia imminente: per questo è probabile che il negazionismo, che una volta caratterizzava la destra populista europea, passi in secondo piano. Se i casi esaminati in questo articolo ci insegnano qualcosa, è che i membri di questa famiglia di partiti non si rassegneranno a vedere il loro sostegno diminuire man mano che la realtà del cambiamento climatico diventa sempre più evidente. Al contrario, è probabile che cercheranno di offuscare il loro passato di negazionisti del cambiamento climatico e di ricostituire la loro immagine come quella di “veri” ambientalisti.

Seguendo le orme del RN e di VOX, che a loro volta attingono all’idealizzazione della vita rurale dell’estrema destra, enfatizzeranno l’affinità tra la loro agenda nazionalista e la protezione dell’ambiente locale e nazionale; presenteranno il loro radicato attaccamento alla terra e alla tradizione come la migliore salvaguardia contro la distruzione ambientale e incolperanno le élite globaliste di aver forgiato la visione della società — basata sul libero scambio, la mobilità geografica e la crescita senza limiti — che ha aperto la strada al riscaldamento globale.

È per questo fondamentale che le forze progressiste si interessino agli sviluppi descritti in questo articolo, lasciando cadere il “mito” che i populisti di destra negano uniformemente, e senza riflessione, il cambiamento climatico.

Articolare un’alternativa politica efficace al “patriottismo verde” e rafforzare la cooperazione internazionale per combattere la minaccia crescente del populismo ambientale internazionale e transnazionale, sono tra le principali sfide strategiche che la sinistra dovrà affrontare negli anni e nei decenni a venire. La sinistra non può abbassare la guardia di fronte alla “guerra climatica culturale” che è già in corso.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato in inglese su OpenDemocracy.

Tradotto in collaborazione con la Heinrich Böll Stiftung Parigi, Francia.