La vulnerabilità degli europei al costo della vita alle stelle resta in qualche modo legata alle regolamentazioni dell’Ue che hanno limitato gli investimenti dei governi nei beni pubblici. Mentre il tenore di vita ristagna e i livelli di indebitamento continuano a crescere, si rende pertanto necessario adottare un nuovo criterio per la spesa pubblica. Le normative fiscali dell’Ue, cruciale oggetto di discussione in vista delle elezioni europee, dovrebbero dare la priorità al benessere, all’istruzione e a un futuro verde rispetto al contenimento di deficit e indebitamento.

Il contenimento dell’indebitamento pubblico è sempre stato un elemento fondamentale dell’Unione economica e monetaria dell’Ue fin dalla sua fondazione. I cosiddetti criteri di Maastricht esigono che gli stati membri mantengano deficit e debito pubblico rispettivamente al di sotto del 3 e del 60 per cento del Pil. Dopo la crisi finanziaria del 2008, l’Ue rese queste “normative fiscali” ancor più elaborate, facendo della sostenibilità del debito il perno centrale di come si presumeva che i Paesi membri dovessero gestire le loro economie. Questa fissazione politica per la riduzione del debito ha abbassato in modo permanente i redditi e ha compromesso gli investimenti nella protezione dell’ambiente e del clima. Il lascito di questa politica è aver reso i popoli di tutta Europa più esposti e vulnerabili agli aumenti del costo della vita.

Gli anni più recenti hanno messo in luce l’inadeguatezza dell’attuale assetto delle normative fiscali in periodo di crisi. Le regole sui prestiti governativi sono state sospese una prima volta nel 2020, in reazione alle ripercussioni economiche della pandemia. Questo si è ripetuto nel 2021 e poi ancora nel 2022 dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Si prevede che l’attuale periodo di flessibilità giungerà a conclusione nel 2024. In piena crisi da Covid-19, la Commissione europea per la prima volta è stata persino autorizzata a prendere capitali in prestito dai mercati finanziari per finanziare i suoi interventi. Invece di fare affidamento su risposte ad hoc ogni volta che subentra una nuova crisi, dopo il 2024 all’Europa occorrerà piuttosto varare un approccio a lungo termine, più funzionale. I governi nazionali dovrebbero avere facoltà di investire nei servizi pubblici come la sanità, l’istruzione e la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Da parte sua, la Commissione europea dovrebbe anche essere dotata di mezzi che sostengano le spese nazionali.

Nel novembre 2022, la Commissione ha proposto nuove regole per i livelli dei prestiti governativi e le tabelle di marcia di riduzione del debito. La proposta riconosce l’aumento nei livelli di debito causati dalla pandemia, dalla guerra in Ucraina e dal collasso ecologico, e delinea un sistema che permetterebbe agli stati membri di pianificare gli investimenti tramite un iter monitorato dalla Commissione. In base a tale proposta, gli stati membri avrebbero una maggiore responsabilità sui piani di riduzione del debito invece di essere soggetti a una regola unica che vada bene per tutti pur di abbassare la spesa. In ogni caso, la priorità principale resta mantenere un basso indebitamento, piuttosto che costruire un’economia che funzioni correttamente per tutti. Questo rappresenta una grande occasione mancata: proporre prestiti permanenti a livello europeo, per esempio, avrebbe avuto l’effetto di ridurre i costi per gli stati membri economicamente meno forti integrando la spesa nazionale.

 La camicia di forza fiscale

Concepite per ridurre l’indebitamento degli stati membri, le regole fiscali dell’Ue hanno fallito nel loro intento. Negli anni successivi alla crisi finanziaria globale, la spesa pubblica è stata soffocata. Di conseguenza, la domanda è precipitata e anche la produzione economica è calata. Il danno economico permanente che questo ha determinato ha intaccato fortemente i redditi dei nuclei familiari e ha portato alla perdita di molti posti di lavoro, specialmente per le persone con redditi più bassi. Anche i Paesi europei che hanno optato per un regime di maggiore austerità e di pesanti tagli alla spesa pubblica hanno fatto registrare livelli di indebitamento superiori. Di conseguenza, questa fissazione della politica per la riduzione del debito pubblico si è rivelata infine controproducente.

Agli stati membri è richiesto di mantenere il loro debito pubblico sotto il 60 per cento del Pil. Ma il rapporto tra debito e Pil dice ben poco della solidità economica di un Paese o del benessere del suo popolo. Guardando alle nazioni ad alto reddito nel mondo, in Giappone il rapporto tra indebitamento e Pil è stato superiore al 200 per cento per più di un decennio senza che ciò comportasse alcun accenno di default. Nello stesso modo, durante la pandemia il rapporto tra indebitamento e Pil negli Stati Uniti ha raggiunto il 135 per cento.

Senza riforme di politica fiscale, sarà pressoché impossibile ridurre a sufficienza le emissioni di anidride carbonica.

Applicare dannose politiche d’austerità sulla base di questi traguardi così arbitrari è irresponsabile sul piano fiscale. Dai risultati di un recente studio empirico condotto dall’economista Philipp Hemberger si comprende che rapporti più alti tra debito e Pil nelle nazioni ad alto reddito non hanno un impatto significativo sulla crescita dell’economia. Nello stesso studio si è appurato che l’aumento dell’erogazione dei prestiti in situazioni come la pandemia non funzionano da “motori della crescita” con il passare del tempo. Al contrario, ridurre la spesa e gli investimenti, in particolare in periodi di recessione e di fiacchezza economica, arreca danni duraturi alla capacità produttiva dell’economia.

Una completamente rinnovata piattaforma economica dovrebbe lavorare per creare un’economia che metta insieme spesa per le infrastrutture verdi e sociali e il raggiungimento della piena occupazione. Lo scopo dovrebbe essere quello di creare posti di lavoro ben retribuiti e al contempo affrancarci definitivamente dalla nostra dipendenza dai combustibili fossili limitando i consumi energetici e di risorse. Anche quando i tassi di interesse aumentano, la spesa è indispensabile per far fronte al collasso ecologico e aggirare la necessità in futuro di grossi interventi per la crisi. Il benessere umano, quello economico e quello ambientale dovrebbero essere gli obiettivi fondamentali della politica economica dell’Ue.

Questo non significa che valutare correttamente i livelli di indebitamento non sia importante e che i prestiti siano tutti positivi. L’instabilità finanziaria provocata dall’aumento del debito per finanziare gli sgravi fiscali a beneficio dei più ricchi in Gran Bretagna è una chiara dimostrazione del motivo per cui i prestiti improduttivi dovrebbero essere limitati.

Le conseguenze di non dimostrarsi all’altezza

Dieci anni di economia improntata all’austerità hanno trascinato verso il basso la qualità della vita in tutto il continente. Tagli ai servizi pubblici, alla sanità, ai budget dell’istruzione in aggiunta alle privatizzazioni dell’infrastruttura sanitaria hanno avuto un impatto quanto mai deleterio sulle persone più povere. Poi, quando la pandemia ha colpito, il reddito reale annuo disponibile alla media dei cittadini europei era di quasi tremila euro inferiore rispetto a quello sul quale avrebbero potuto contare se i loro redditi avessero continuato ad aumentare allo stesso tasso di prima della crisi finanziaria. Dietro questa media si nascondono differenze significative tra i vari stati membri dell’Ue. In Germania nel 2020 il reddito medio è sceso soltanto dell’1 per cento rispetto ai trend di prima del 2008, mentre i redditi in Finlandia e nei Paesi Bassi sono stati inferiori dal 15 al 16 per cento. Irlanda e Spagna sono stati tra i Paesi più colpiti, con redditi medi scesi ben al di sotto delle soglie previste del 29 e del 25 per cento rispettivamente.

Ai bassi livelli di spesa pubblica si sono accompagnati redditi stagnanti. Inoltre, il taglio di alcuni diritti dei lavoratori ha portato a un aumento del lavoro precario e sotto-retribuito.

una spesa pubblica mirata e a lungo termine è necessaria per garantire una buona qualità della vita a chiunque in Europa.

Prima della pandemia, nell’Ue vi era un divario negli investimenti per le infrastrutture sociali stimato nell’ordine di almeno 142 miliardi di euro l’anno. Oggi tale divario si è dilatato. Qualora gli investimenti nei servizi sociali avessero proseguito la loro traiettoria di prima della crisi, i governi dell’Ue adesso spenderebbero mille euro in più a persona rispetto a quelli che hanno speso nel 2019. Tra il 2000 e il 2009, la spesa pubblica reale nei settori sociali è aumentata mediamente del 2,4 per cento l’anno. Nel decennio successivo, l’aumento annuo è sceso di due terzi fino allo 0,8 per cento, facendo sì che le società europee dimenticassero gli impatti positivi della produzione economica, accantonassero i livelli degli investimenti privati, e trascurassero la disoccupazione che si accompagna a una più alta spesa sociale. Questo basso livello di finanziamento dei servizi pubblici e la privatizzazione diffusa hanno finito con il minare la resilienza degli europei, anche nei confronti della pandemia da Covid-19.

Di recente, il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che l’aumento dei prezzi dell’energia farà crescere il costo della vita per le famiglie europee mediamente del 7 per cento nel 2022. Se in parte ciò sarà controbilanciato dalle recenti misure varate dall’Ue e a livello nazionale per tenere a freno l’inflazione, una spesa pubblica mirata e a lungo termine è necessaria per garantire una buona qualità della vita a chiunque in Europa.

Le preoccupazioni dell’Ue sul debito fanno passare in secondo piano le ben più grandi sfide socioeconomiche, per il clima e per l’ambiente che l’Europa ha davanti a sé. Poiché sarà impossibile invertire i danni inflitti dal riscaldamento globale, si rendono necessari investimenti preventivi per arginare le conseguenze peggiori. Senza riforme di politica fiscale, sarà pressoché impossibile ridurre a sufficienza le emissioni di anidride carbonica.

Nel 2019, la Commissione europea ha calcolato che l’Europa avrà bisogno di 490 miliardi di euro l’anno aggiuntivi di investimenti per mantenere sano il nostro ambiente. Altre stime suggeriscono che per affrontare il solo collasso del clima nell’Ue potrebbero essere necessari investimenti annui superiori a 855 miliardi di euro e oltre (trasporti esclusi). Il Green Deal della Commissione è destinato a mobilitare soltanto un terzo di questa somma di investimenti provenienti sia dal settore privato sia da quello pubblico. I soli investimenti privati, per altro, non saranno in grado di colmare il divario, e non necessariamente porteranno investimenti in grado di offrire vantaggi a coloro che ne hanno maggiore bisogno.

Linee in spostamento

Le contrazioni economiche alimentano la sfiducia nella politica, e ciò innesca un sostegno per i partiti estremisti. In tutta Europa, la dura reazione contro l’austerità ha portato a un aumento significativo nei consensi per i partiti estremisti, a una minore affluenza degli elettori ai seggi e a una maggiore frammentazione politica. Come possiamo evitare che tutto questo si ripeta negli anni a venire?

Durante la crisi dell’Eurozona, a essere maggiormente colpiti dalla crisi debitoria e dall’austerità furono i Paesi dell’Europa meridionale. Questo spiega l’approccio più flessibile alla spesa pubblica e alla riduzione del deficit, favorita a lungo dai governi di Francia, Italia e Spagna. Dall’altra parte, l’Europa settentrionale fu colpita meno duramente. L’economia della Germania trainata dalle esportazioni ha addirittura tratto benefici dal basso valore dell’euro.

Oggi, tuttavia, la Germania è uno dei Paesi maggiormente esposti agli aumenti del prezzo delle materie energetiche. I provvedimenti nazionali proposti a settembre dalla Germania per proteggere la sua base industriale hanno innescato significativi contraccolpi da parte degli altri Paesi europei. Ciò nonostante, la Germania resta uno dei Paesi che ha più da guadagnare dalla cooperazione europea nell’attuale crisi energetica.

Il governo tedesco da tempo persegue la politica economica del basso debito. La Germania è stata tra i primi e più importanti Paesi a proporre la disciplina fiscale nell’ambito dell’Unione monetaria europea e durante la crisi dell’Eurozona. Un freno all’indebitamento (Schuldenbremse) è inserito nella Costituzione tedesca e in base alla famosa politica di budget schwarze Null (“zero nero”), introdotta in seguito alla crisi finanziaria del 2008, il Paese è obbligato a mantenere un budget federale equilibrato senza ricorrere a nuovi prestiti.

Le crisi degli ultimi anni, tuttavia, hanno comportato un cambiamento. Durante la pandemia, il governo tedesco ha accordato per la prima volta un debito con l’Ue come misura a breve termine. Eletto nel 2021, l’attuale governo della Germania include anche i Verdi, i quali chiedono maggiori investimenti pubblici e caldeggiano un approccio europeo comune. Il Partito Liberale Democratico, anch’esso parte della coalizione di governo, continua a considerare i limiti ai prestiti una linea rossa invalicabile, una soglia che costituisce un ostacolo enorme per riformare a fondo la politica fiscale dell’Ue. Questa posizione risulta sempre più sfasata rispetto alla posizione fiscalmente conservatrice e tradizionale dell’opinione pubblica tedesca, la quale sta andando comunque incontro a un’evoluzione. Quasi i due terzi (per la precisione il 64 per cento) di coloro che hanno risposto a un sondaggio condotto nel 2022 hanno espresso preoccupazione per un ritorno alle politiche di austerità e in buona parte hanno detto di appoggiare un aumento nella spesa di governo per i servizi pubblici e così pure gli investimenti verdi.

I quattro cosiddetti “Paesi frugali” – Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia –si oppongono solitamente anch’essi a una maggiore flessibilità nella spesa pubblica. Eppure anche lì, la politica di governo differisce dalle idee dell’opinione pubblica. Per esempio, quando è stato chiesto se l’Unione europea avesse speso troppo per i fondi di ripresa dal Covid-19, quasi otto elettori su dieci hanno detto di non essere d’accordo. Le preoccupazioni perlopiù tendono a concentrarsi sugli sprechi e sulla corruzione correlata all’uso dei fondi da parte degli stati membri, più che alla spesa in sé e per sé.

L’occasione di un cambiamento sistemico

L’austerità post-2008 non ha reso gli europei più felici o in migliori condizioni, né ha elevato il loro tenore di vita. Al contrario, l’ossessione per il mantenimento di bassi livelli di debito e di deficit ha reso le società europee meno resilienti. Questo inverno sarà particolarmente duro in Europa e nel mondo; lo stesso potrebbe accadere anche negli anni a venire. A fronte di sempre più complesse sfide ecologiche e sociali, c’è bisogno di stati che abbiano la facoltà di investire.

Probabilmente il dibattito sulla politica economica, e in particolare sulle normative fiscali, sarà uno dei temi politici più importanti nella fase preparatoria delle elezioni europee del 2024. I partiti e le voci progressiste dovranno presentare un’alternativa migliore, diversa dalle politiche che hanno fallito in passato. La politica fiscale svolge un ruolo centrale nel perseguire sia la giustizia climatica sia la giustizia sociale. Riformare le regole fiscali europee, pertanto, è un’occasione per dimostrare in che modo la politica economica possa dare risposte adeguate sia alla gente, sia al pianeta.

Tradotto in collaborazione con la Heinrich Böll Stiftung Parigi, Francia