La solidarietà europea può essere costruita o distrutta in base all’idea che abbiamo dei concetti di responsabilità e reciprocità. Ma i leader politici non sono semplici canali passivi dell’opinione pubblica. Basandosi su una serie di ricerche sociali, Sharon Baute, Max Heermann e Dirk Leuffen sostengono che la narrazione che usiamo per spiegare le tante crisi che affliggono l’’Europa sono fondamentali per far emergere delle soluzioni europee condivise.

Negli ultimi dieci anni l’Unione europea ha affrontato vari choc, tra cui quelli legati al debito sovrano europeo,  all’emergenza climatica, ai rifugiati, e poi la pandemia di Covid-19 e l’attuale crisi energetica, drammaticamente intensificata dalla guerra russa in Ucraina. Queste crisi hanno messo alla prova le fondamenta economiche, culturali e politiche del progetto europeo, portando alla ribalta molte forze populiste ed euroscettiche. Il NextGenerationEU recovery fund, ma anche il reperimento congiunto di vaccini anti-Covid, ne sono casi esemplari. Mentre quasi tutti gli esperti concordano nel dire che ci sono buoni motivi per promuovere l’integrazione europea, anche su questioni sociali, gli ostacoli rimangono. Una grossa sfida è rappresentata dal “dissenso limitante” esercitato da un’opinione pubblica incerta. La contrapposizione fra democrazia nazionale e interesse pubblico europeo può essere particolarmente problematica per la solidarietà europea.

La buona notizia, tuttavia, è che la solidarietà non è una quantità fissa e immutabile. Emerge piuttosto attraverso dinamiche di gruppo e può essere rafforzata da attori politici attivi su questo fronte. La domanda rimane: come promuovere la solidarietà europea presso il grande pubblico? Basandoci sulle più recenti ricerche sociali, parliamo di due ingredienti chiave che contribuiscono a costruire il sostegno pubblico alla solidarietà europea, nello specifico l’attribuzione di responsabilità e la reciprocità.

Attribuzione di responsabilità: collegare cause e soluzioni

La solidarietà si costruisce su e riproduce legami sociali fra chi dà e chi riceve. C’è una vasta letteratura che mostra come la propensione dei cittadini europei a condividere rischi e risorse con altri dipende dal fatto che giudichino i beneficiari “meritevoli”. Ciò vale per la solidarietà sia fra persone che fra Stati. I potenziali beneficiari sono davvero in una condizione di bisogno? Ci sono altri individui, gruppi sociali o Paesi con bisogni più grandi o più pressanti? E perché si trovano in una condizione di bisogno? Non hanno fatto i “compiti a casa”, magari perché sono “pigri”? Cercano forse di vivere sulle spalle degli altri? Oppure sono stati colpiti da circostanze avverse fuori dal loro controllo?

Nella politica europea, i populisti euroscettici tendono a esacerbare le dicotomie fra gruppi di appartenenza (in-groups) e di non appartenenza (out-groups), soprattutto in senso nazionalista. Mentre i populisti nei Paesi donatori tendono a incolpare gli out-groups stranieri di aver preso decisioni politiche irresponsabili e dannose, i populisti dei Paesi beneficiari accusano regolarmente altri out-groups di esercitare un dominio strutturale che è causa delle loro sfortune. Seppur ipersemplificata, questa attribuzione di responsabilità, molto diffusa, può avere enormi effetti deleteri sulla solidarietà europea.

Our latest issue – Aligning Stars: Routes to a Different Europe – is out now!

Read it online or get your copy delivered straight to your door.

Ci sono almeno tre importanti “bersagli” dell’attribuzione di responsabilità che determinano la propensione dei cittadini al sostegno alla solidarietà europea. Il primo sono i singoli individui. La disoccupazione è un esempio tipico in cui convivono visioni opposte sul ruolo dell’azione individuale. Mentre per alcuni i disoccupati sono vittime di circostanze esterne, per altri la disoccupazione è il risultato di uno sforzo insufficiente da parte del singolo. Dalle ricerche è emerso che le persone dimostrano meno solidarietà verso i disoccupati se sono convinti che quest’ultimi non si sforzino abbastanza per trovare un impiego, e quindi sono piuttosto favorevoli a politiche attive del lavoro più rigide. Dipingere chi è in difficoltà come personalmente responsabile della propria precarietà è deleterio per la solidarietà non solo a livello nazionale ma anche europeo, perché fa sì che le persone accolgano più difficilmente gli sforzi congiunti dell’Ue nella lotta alle disuguaglianze.

Analogamente, le percezioni socialmente costruite delle responsabilità di governo sono importanti per la solidarietà europea perché incidono sulla percezione degli Stati come meritevoli o meno di aiuto. La nostra ricerca evidenzia che gli europei sono più propensi a sostenere una mutua assistenza fra Stati membri nel caso di una crisi ambientale piuttosto che di una crisi sociale, anche se il danno per la vita delle persone è comparabile. La differenza principale ancora una volta riguarda l’attribuzione di responsabilità: mentre gli choc ambientali sfuggono verosimilmente al controllo umano, i governi possono essere ritenuti responsabili per problemi economici e finanziari. Tali narrazioni di attribuzione di responsabilità sono spesso frutto di semplificazioni vergognose, come evidenziato dalla paradigmatica costruzione sociale della dicotomia “Santi del Nord” contro “Peccatori del Sud” durante la crisi dell’Eurozona. Al contrario, la pandemia è stata per l’Europa uno choc esterno, naturale, per cui nessun Paese può essere ritenuto responsabile. Misure prima inconcepibili, come l’emissione di debito comune europeo, tutt’a un tratto sono diventate possibili. 

La propensione dei cittadini europei a condividere rischi e risorse con altri dipende dal fatto che giudichino i beneficiari “meritevoli”.

Durante la crisi dell’Eurozona, la Cancelliera tedesca Angela Merkel si era opposta alla creazione del debito comune, dichiarando che finché fosse stata in vita lei non sarebbero esistiti gli Eurobond. Il governo di Merkel e il suo partito, l’Unione cristiano-democratica/Unione cristiano-sociale (CDU/CSU), hanno contribuito molto a diffondere la narrazione dei “Peccatori del Sud”, dipinti come responsabili del loro alto debito pubblico e delle difficoltà economiche causate da politiche fiscali sbagliate. L’aiuto finanziario alla Grecia e ad altri Stati membri fu garantito solo dietro condizionalità stringenti, che imposero ai governi beneficiari di implementare misure di austerità molto impopolari che aggravarono i problemi sociali.

All’opposto, quando l’Europa è stata colpita dal Covid-19 nel 2020, Merkel – dopo un’iniziale riluttanza – ha cambiato idea. Disse che nessun Paese era responsabile per la crisi sanitaria ed economica causata dalla pandemia. Il virus è stato uno choc esterno che ha minacciato l’unità dell’Ue. Adottando questa nuova narrazione dell’attribuzione di responsabilità, Merkel ha giustificato la proposta fatta insieme a Emmanuel Macron di un recovery fund europeo di fronte al Bundestag e agli elettori tedeschi. Non solo la coalizione CDU/CSU l’ha seguita a ruota, ma anche l’opinione pubblica tedesca l’ha appoggiata. Il sostegno pubblico al debito comune europeo è cresciuto nel corso del 2020 e ampie fette della popolazione, compresa la maggioranza dei sostenitori della CDU/CSU, hanno approvato il Next Generation EU recovery fund. Così Merkel ha convinto il suo partito e l’opinione pubblica ad accettare il debito comune europeo nonostante la loro storica contrarietà. Dipingere la pandemia come uno choc esogeno è stata una scelta strategica importante.

I cittadini europei ritengono sempre più spesso l’Ue responsabile di una moltitudine di problemi, fra cui le condizioni economiche, la sanità e lo stato sociale. Nell’ambito della crisi dell’Eurozona, una ricerca empirica in 10 Paesi dell’Ue mostra che quote sostanziali della popolazione credono che le politiche di austerità “imposte dall’Ue” abbiano aggravato i problemi sociali ed economici negli Stati membri più deboli. Tali convinzioni vanno di pari passo con più pressanti richieste di politiche europee di welfare rivolte a gruppi vulnerabili come i poveri, i disoccupati e i bambini in condizioni di svantaggio.

Incolpare l’Ue per ricadute sociali avverse può anche non tradursi nella richiesta di “più Europa”, ma incoraggia la domanda di iniziative a livello europeo, che hanno un esplicito scopo sociale e accrescono il profilo dell’Ue come fornitore di – anziché minaccia alla – protezione sociale. Più i cittadini attribuiscono le cause di problemi sociali come la povertà e la disoccupazione all’Ue, più forte sarà la loro domanda di politiche compensative  a livello europeo. A questo punto entrano in gioco le percezioni divergenti sul perché alcuni Paesi hanno risultati migliori di altri (in termini di disoccupazione, povertà o tassi di crescita) e allineare le diverse prospettive nei Paesi contributori netti e nei Paesi beneficiari netti rimane una sfida. Bisogna quindi mantenere e intensificare gli sforzi per creare delle narrazioni comuni paneuropee. 

Reciprocità: collegare donatori e beneficiari.

La reciprocità è un altro aspetto fondamentale della solidarietà. In un sistema di protezione sociale i cittadini accettano di aiutarsi gli uni con gli altri, a patto che ognuno contribuisca per la propria parte. Nell’Ue sono gli Stati ad aver accettato, attraverso i trattati europei, di contribuire alla produzione congiunta di beni comuni. Tuttavia, per avere accesso ai frutti della cooperazione europea, gli Stati membri si impegnano ad accettare norme e valori comuni. 

Avere fiducia nella reciprocità è di particolare importanza nell’Ue perché la solidarietà su scala europea potrebbe evocare timori di parassitismo ancora più grandi della redistribuzione domestica. Secondo questa prospettiva, si capisce bene perché le proposte per una condivisione del rischio derivante dalla disoccupazione facciano più presa sull’opinione pubblica quando sono sia generose che condizionate. In altre parole, è più facile che i sussidi di disoccupazione vengano accolti con favore se i beneficiari si impegnano a cercare attivamente lavoro, accettano le offerte di impiego e vengono sanzionati se invece non lo fanno. In modo analogo, dalla nostra ricerca fra gli elettori belgi emerge che chi crede che il cattivo uso dei sussidi sociali da parte dei beneficiari sia già molto comune nel sistema di welfare nazionale è meno propenso a mostrare solidarietà al di là dei confini dello Stato.

Il sostegno dell’opinione pubblica alla solidarietà è condizionato dalla percezione che i cittadini hanno di una determinata crisi, così come dal loro rapporto con chi si trova in condizioni di bisogno.

Nell’Ue la reciprocità funziona sia a livello interpersonale che interstatale. Il nostro studio sulla solidarietà durante la pandemia rivela che i cittadini valutano positivamente un impegno diretto in favore della reciprocità: era più probabile che sostenessero aiuti sanitari e finanziari verso altri Stati membri quando questi Stati si impegnavano a restituire il favore. Un tratto distintivo dell’Ue è che interviene in tantissime aree. Il ruolo di contributore e beneficiario può dipendere dal singolo problema specifico. La crisi energetica, innescata dall’attacco russo contro l’Ucraina, ci fornisce un esempio lampante. La Germania, che è sempre stata uno Stato contributore, ora sente il bisogno di invocare la solidarietà energetica presso i partner europei. Questa esperienza, al momento alquanto spiacevole, potrebbe rafforzare il principio di solidarietà sul lungo periodo, perché sottolinea che aiutare gli altri può tornare utile a tutti in tempi di crisi.

Infatti, vediamo che anche i cittadini danno importanza al supporto reciproco in settori problematici. Se sanno che in precedenza un Paese ha partecipato all’accoglienza e al trasferimento dei rifugiati, è più facile che siano favorevoli a fornire aiuti durante la pandemia. Al contrario, se uno Stato membro non è stato capace di ottemperare agli impegni europei, sul rispetto della legalità per esempio, i cittadini saranno meno disposti ad aiutarli in tempi di crisi. Questa logica della reciprocità tocca anche il tema scottante dell’erosione democratica. Riassumendo, dalla nostra ricerca emerge che i cittadini degli stati contributori diventano più generosi verso quegli stati beneficiari che contribuiscono al bene comune europeo e rispettano le norme comunitarie.

Narrazioni politiche, leadership e sostegno pubblico

La solidarietà non è immutabile. Al contrario, il sostegno dell’opinione pubblica alla solidarietà è condizionato dalla percezione che i cittadini hanno di una determinata crisi, così come dal loro rapporto con chi si trova in condizioni di bisogno. I leader politici mettono in circolazione narrazioni su solidarietà, reciprocità e responsabilità che hanno un effetto significativo sulla propensione a condividere rischi e risorse con altri Stati dell’Ue.

Ci si può quindi appellare alla solidarietà europea in due modi. In un primo caso, le élites partitiche possono mandare un segnale forte ai loro sostenitori. I cittadini spesso hanno una scarsa conoscenza di questioni complesse come la redistribuzione e perciò si affidano alle indicazioni dei partiti adottando la posizione di chi votano o del loro leader di fiducia. Nel secondo caso, al di là della propria area politica di riferimento, argomenti ben congegnati possono convincere i moderati indecisi o riluttanti che, malgrado si senta spesso parlare di crescente polarizzazione, costituiscono la maggioranza dell’elettorato. Spiegare questioni complesse ai cittadini può essere scomodo ma ripaga. Per esempio, informare i cittadini che distribuire vaccini ai Paesi più poveri riduce le future mutazioni dei virus aumenta il loro sostegno alla solidarietà vaccinale.

È quindi fondamentale per i politici promuovere leadership ideative. Chi è a favore della solidarietà europea deve proseguire pervicacemente nella creazione di un discorso europeo che eviti narrazioni semplicistiche e giudicanti sulla responsabilità. Tutte le parti devono rispettare la reciprocità e bisogna sottolineare l’importanza degli interessi comuni, sia negli Stati contributori che in quelli beneficiari. Lo illustra in modo lodevole un’intervista del luglio 2022 al Ministro tedesco per gli Affari economici Robert Habeck. Nel suo appello alla solidarietà energetica, Habeck ha ammesso apertamente che la Germania non ha diversificato le sue importazioni di gas e che in parte è dunque responsabile per le difficoltà in cui si trova adesso. Non è solo un’affermazione intelligente sul piano diplomatico, ma col tempo potrebbe convincere i cittadini tedeschi che beneficerebbero anche loro di un rafforzamento della solidarietà europea. Anche altri fattori, come l’identità di gruppo e i costi finanziari, giocano un ruolo nella propensione dei cittadini verso la solidarietà europea, ma sono condizioni più difficili da cambiare nel breve periodo. Al contrario, i leader politici possono plasmare più facilmente la percezione pubblica della responsabilità e della reciprocità. Mettendo questi due criteri al centro delle loro narrazioni sulla solidarietà europea, possono costruire un sostegno pubblico per un’Europa più sociale e meglio integrata.