Sei anni dopo la sua morte, Benoît Lechat, co-fondatore del Green European Journal e responsabile delle pubblicazioni del think tank verde belga Etopia, continua ad arricchire la nostra società con il suo pensiero. Nelle sue ultime opere, Lechat ha sottolineato la necessità di un rilancio, riavvio democratico verde che combini efficacemente democrazia ed ecologia. Logicamente, questo sforzo doveva essere guidato dai partiti verdi europei. Ma per avere successo, i Verdi avrebbero dovuto prima capire i cambiamenti fondamentali in corso nella società.

Nell’editoriale dell’edizione estiva 2014 del Green European Journal, Lechat notava che: “Tra il 1980 e il 2014, non solo la portata dei problemi ecologici si è drammaticamente ampliata, ma anche le condizioni sociali e antropologiche dell’impegno politico sono state profondamente trasformate dall’evoluzione culturale delle nostre società post-industriali”(1). Qualsiasi proposta di riforma delle istituzioni democratiche verso una maggiore sostenibilità e partecipazione dovrebbe tenere conto di questi cambiamenti strutturali.

Nel 2021, questa lezione rimane più che mai attuale. In un momento in cui ci si chiede sempre più spesso se le democrazie rappresentative possano prevenire o anche solo affrontare le crisi ecologiche, alcuni gruppi e pensatori ambientalisti (tra cui il filosofo franco-svizzero Dominique Bourg) propongono riforme che permetterebbero alle democrazie di rispondere meglio ai vincoli ecologici. Qualunque sia il merito di queste proposte, il panorama politico contemporaneo e la crisi di legittimità che affligge le istituzioni democratiche dimostrano che non si tratta più solo di rendere la democrazia compatibile con l’ambiente, ma di salvarla, tout court.

Oggi, la consapevolezza delle questioni ambientali sta indubbiamente crescendo. In molti paesi si sono susseguite marce sul clima e dibattiti su tematiche “verdi” sui media: persino il mondo degli affari chiede a tutti di fare la propria parte per salvare il pianeta. Ma l’approccio mainstream rimane strettamente ambientale: ovvero si tende a guardare il problema in termini di inquinamento ed emissioni. La questione è sempre e solo letta attraverso la lente della stabilizzazione del sistema attuale, e non come un catalizzatore per trasformarlo. L’abisso tra esperti e politici da un lato e il pubblico dall’altro è stato messo a nudo durante tutta la crisi del Covid-19, portando a un’ulteriore erosione della fiducia. La “tentazione espertocratica” temuta da Lechat si è verificata, obbligandoci a pensare a meccanismi che impediscano il suo ulteriore radicamento.

Ci sono molte sfaccettature nell’attuale crisi della democrazia. Ma hanno davvero radici comuni con la crisi ecologica? Come Lechat ha evidenziato nella sua storia del partito verde francofono del Belgio (2) , i metodi di consultazione stabiliti negli anni Settanta e Ottanta per prevenire progetti industriali inquinanti hanno portato a processi amministrativi macchinosi che vincolano una quantità significativa di risorse all’interno dei gruppi di attivisti ambientali e sociali. Il risultato è una “burocrazia ambientale” che non è in grado di affrontare pienamente le cause dei problemi. Per di più, questi stessi processi possono essere usati contro il perseguimento di politiche ambientali quando, per esempio, gruppi locali si oppongono alla costruzione di parchi eolici.

I processi di consultazione sociale e ambientale si sovrappongono e, a volte, entrano in conflitto. E anche se i politici sembrano liberi dai vincoli della consultazione, la frammentazione della rappresentanza politica rende i negoziati diabolicamente complessi. Questo, a sua volta, rafforza l’impressione di un mondo politico incapace di governare e, al tempo stesso, estraneo alle realtà sociali.

Questo illustra l’importanza di usare la sociologia politica per comprendere questi ostacoli: “Dobbiamo porci la domanda: in che modo le dinamiche sociali in atto nelle nostre società non sono favorevoli alle dinamiche politiche che i Verdi vorrebbero creare per raggiungere i loro obiettivi?”(3). Per i Verdi, quindi, si pone la seguente domanda: come possiamo essere politicamente efficaci? Conquistando maggioranze, certo: ma per fare cosa?

Verso la democrazia ecologica

Lechat ha spiegato che la democrazia, intesa in modo radicale, deve essere una priorità per i Verdi nel cammino verso una società sostenibile. La democrazia rimarrà naturalmente un sistema per far dibattitere tra gli esseri umani, il modo migliore per “opporsi gli uni agli altri senza scannarsi”.(4) Ma a differenza delle prime ideologie della modernità, come il socialismo e il liberalismo, la pace della democrazia ecologica non sarà costruita a spese delle generazioni future, degli ecosistemi e dei non-umani. La “democrazia ecologica” non farà dell’ambiente un compromesso per le politiche tradizionali. Al contrario, renderà “verdi” le istituzioni e assicurerà il loro decentramento. Non si tratta di dare il voto agli animali o ai bambini non ancora nati, ma di costruire sistemi democratici che incorporino meglio i segnali che la natura ci invia e l’impatto delle nostre azioni sulle condizioni di vita future.

Nel movimento verso la democrazia ecologica, emergono tre priorità.

In primo luogo, la politica ambientale deve rafforzare la partecipazione locale – un atto di decentralizzazione – nell’attuazione di piani più ambiziosi di transizione ecologica, che vanno invece nel senso di un atto di centralizzazione. Questo implica il rafforzamento della democrazia ad ogni livello, creando spazi pubblici di dibattito che informino i processi decisionali. Ognuno di questi processi di decentralizzazione deve essere costruito sul dinamismo degli spazi pubblici energizzati da un media pluralista che favorisca il dibattito e l’analisi rispetto al sensazionalismo e alla polemica. Il lavoro della democrazia è inseparabile da quello del rafforzamento dei veri spazi pubblici, dal locale all’europeo.

In secondo luogo, questa rinascita democratica non può avvenire senza affrontare la questione culturale: un punto che Lechat ha sottolineato ripetutamente nei suoi contributi alla rivista progressista belga La Revue Nouvelle. Dalla fine degli anni Ottanta, nei programmi di riforma istituzionale e politica dei partiti verdi c’è stato uno scollamento tra i loro progetti ambientali e culturali. La trasformazione ecologica, invece, deve mobilitare tutta la società, comprese le sue risorse educative e culturali. Non si tratta solo di scelte tecniche, politiche o economiche, ma di generare dinamiche civiche e sociali.

“La cultura è la capacità di una società di agire su se stessa cambiando le sue rappresentazioni sociali”(5). La transizione, quindi, dipende anche da politiche culturali che liberino la storia, la creatività, l’espressione artistica e la coesione sociale di luoghi e persone.

Infine, la democrazia ecologica non si realizzerà senza la creazione di uno stato socio-ambientale che affronti le disuguaglianze spingendo più in là la logica dello stato. Il produttivismo condiviso dalle tradizioni neoliberista, socialdemocratica e marxista “si basa sulla convinzione che la crescita delle forze produttive sia essenziale per la risoluzione dei conflitti inerenti alla società”.(6)

Piuttosto che aggrapparsi alla convinzione che le politiche possano soddisfare tutti, la transizione ecologica dovrebbe essere istituzionalizzata attraverso una nuova concezione della democrazia che allarghi la partecipazione: questo perché non c’è ecologia sociale senza un movimento per la democrazia e una ridefinizione post-materialista e cosmopolita della solidarietà.

In ognuno di questi casi, l’incontro tra il sapere esperto e la deliberazione democratica è essenziale per evitare la deriva verso una “espertocrazia” che, tra l’altro, sarebbe rifiutata da settori sempre più ampi della società. La gestione della pandemia ci ha messo in guardia su questi pericoli crescenti. Di fronte alla crisi climatica a lungo termine, le nostre istituzioni devono cambiare.

Tradotto in collaborazione con la Heinrich Böll Stiftung Parigi, Francia.

NOTE 

Benoît Lechat (2014). “From a Green Reboot of Democracy to a Democratic Reboot of the Greens”. Green European Journal. 1°agosto 2014. 

Benoît Lechat (2014). “Ecolo, la démocratie comme projet”. Namur: Etopia. 

Benoît Lechat (2014). “A Climate for Change”. Green European Journal. 1° novembre 2014. 

Marcel Mauss (1950). “Essai sur le don” (Saggio sul dono). Sociologie et Anthropologie, 1950, pagine. 143-279. 

Benoît Lechat e Jonathan Piron (2021). “Ecolo, l’écologie de l’action politique”. Namur: Etopia. 

Benoît Lechat (2014). “A Speech by Benoît Lechat”. Green European Journal. 21 agosto 2014. 

Democracy Ever After? Perspectives on Power and Representation
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Between the progressive movements fighting for rights and freedoms and the exclusionary politics of the far right, this edition examines the struggle over democracy and representation in Europe today.

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