In questo articolo Richard Wouters sostiene che al di fuori dei confini dell’Unione europea, dall’Ucraina al Sud del mondo, vi sia una situazione più ampia che fa da sfondo alla crisi del costo della vita e che non dovrebbe essere dimenticata.

Malgrado l’aumento del costo della vita, la maggior parte di noi nell’Unione europea conduce vite privilegiate. Fuori dai confini dell’Ue, centinaia di milioni di persone faticano per raggiungere i nostri livelli di prosperità, e devono addirittura combattere per avere la nostra democrazia. Quando scendiamo per strada per protestare contro l’aumento dei prezzi e la perdita del posto di lavoro, dobbiamo stare attenti a non dimenticarvi di queste persone.

Circa 200 milioni di persone nel Sud del mondo lavorano molte ore al giorno per produrre materie prime, beni e servizi destinati ai nuclei familiari dell’Ue. In pratica, per ogni persona che lavora nell’Ue c’è un lavoratore poco retribuito. Non stupisce che occorrerebbero tre pianeti Terra se tutti gli abitanti del nostro pianeta dovessero vivere come il consumatore medio dell’Ue. Che si tratti di siccità e di alluvioni provocate dal cambiamento climatico o di deforestazione dovuta alla necessità di coltivare alimenti per il nostro smisurato bestiame, gli impatti ecologici di questo stile di vita ricadono perlopiù su chi vive nel Sud del pianeta.

L’invasione russa dell’Ucraina e le (giustificate) sanzioni contro il Paese aggressore lasciano presagire l’emergere di ancora più difficoltà per il Sud del pianeta. I Paesi occidentali si stanno impossessando di combustibili, generi alimentari e fertilizzanti provenienti da qualsiasi zona a esclusione della Russia, pur di mantenere a galla le loro economie. Nel frattempo, i Paesi in via di sviluppo stanno rimanendo indietro, e la povertà e la carestia dilagano sempre più.

Anche se passeranno ancora anni prima che l’Ucraina possa entrare nell’Unione europea, oggi gli ucraini stanno pagando un prezzo molto alto per la difesa dei valori europei.

Anche se passeranno anni prima che l’Ucraina possa entrare nell’Unione europea, gli ucraini stanno pagando oggi un prezzo altissimo per difendere i valori europei.

Vivere nell’Unione europea potrebbe sembrare quasi idilliaco, se non fossero gli altri a dover pagare il prezzo del nostro alto tenore di vita. La nostra unione sempre più stretta, la legalità, la democrazia (transnazionale) e i nostri sistemi di welfare saranno forse tutt’altro che perfetti, ma a livello globale sono esemplari. Per molte persone fuori dall’Ue sono motivo d’invidia. Noi europei possiamo andar fieri di questi risultati. Devono essere difesi dai nemici interni ed esterni, se non altro perché la transizione verso un’economia non estrattiva che rispetti i confini del pianeta deve essere realizzata democraticamente e sulla base di un’estesa cooperazione. Oggi la difesa della democrazia europea è affidata al coraggio del popolo ucraino. Da Leopoli a Mariupol, centinaia di migliaia di uomini e donne hanno lasciato le loro famiglie e le loro vite di tutti i giorni per combattere gli invasori. Non soltanto stanno difendendo la loro nazione dalle allucinazioni imperialistiche di Putin, ma stanno anche proteggendo la legalità internazionale dall’idea che “il più forte ha sempre ragione”, e stanno difendendo i valori democratici dall’autocrazia e dalla cleptocrazia. Anche se passeranno anni prima che l’Ucraina possa entrare nell’Unione europea, gli ucraini stanno pagando oggi un prezzo altissimo per difendere i valori europei. L’Ue aiuta l’Ucraina con armamenti, denaro e sanzioni contro la Russia, e si sta rapidamente affrancando dall’energia russa. I prezzi delle materie energetiche, di conseguenza, sono balzati alle stelle, facendo salire l’inflazione e costringendo alcune aziende a chiudere i battenti. Il più alto costo della vita e la potenziale perdita di posti di lavoro rischia di erodere il sostegno dell’opinione pubblica nei confronti degli aiuti all’Ucraina e delle sanzioni alla Russia. Tuttavia, stringere i denti e perseverare è cruciale per sconfiggere Putin.

Ne consegue che per i governi è di vitale importanza aiutare e risarcire i più vulnerabili, e allo stesso tempo esigere sacrifici dai cittadini più abbienti. La proclamazione della “fine dell’abbondanza” da parte del presidente francese Emmanuel Macron è un esempio di corretta valutazione della “policrisi” alla quale dobbiamo fare fronte, dall’ecologia alla geopolitica. Ciò nonostante, se a questo messaggio non si accompagneranno forti politiche redistributive, per molti europei che non hanno mai goduto la loro parte di quell’abbondanza le cose si metteranno male. Quando si deve scegliere se mangiare o stare al caldo, è comprensibile che vi possano essere delle ribellioni.

Con i governi che fanno fatica a reagire alla sempre più diffusa povertà, mentre le bollette aumentano e cresce la perdita dei posti di lavoro, è verosimile che le proteste si allargheranno (soprattutto considerando che alcuni governi non sono disposti a tassare i ricchi). A prescindere però da quanto saremo arrabbiati con i nostri governi, noi europei siamo ancora in debito di solidarietà nei confronti delle persone e delle zone dove si sgobba duramente e si lotta per noi.

Si consideri l’esempio di una fabbrica di porcellane in Europa centrale che dovrà chiudere se i prezzi del gas resteranno alle stelle. Un centinaio di persone potrebbe tragicamente rischiare di perdere il posto di lavoro. Potreste essere propensi a unirvi alle proteste di quei lavoratori. In ogni caso, se l’Unione europea importasse gas naturale liquefatto (GNL) a sufficienza per garantire la sopravvivenza di tutte le sue aziende, si spegnerebbero tutte le luci nei Paesi più poveri che dipendono per la loro elettricità dal gas di importazione. Il prezzo alle stelle del GNL dovuto all’alta richiesta in Europa ha provocato blackout in Bangladesh. Per quanto duro possa suonare alle orecchie degli operai della fabbrica di porcellane, la gente può fare a meno di comprare nuovi servizi di piatti più facilmente di quanto possa fare a meno dell’elettricità.

Nell’Ue, ogni protesta contro la crisi del costo della vita è seguita con grande interesse dal Cremlino. L’arma del gas è per Putin uno strumento di divisione dell’Unione europea e per potenzialmente indebolire gli aiuti all’Ucraina. La piccola speranza che Putin ripone ancora nel mantenere il controllo dell’Ucraina occupata verosimilmente è sostenuta dalle dimostrazioni nelle città europee. La televisione russa non vede l’ora di riferire di tali proteste, che rappresentano segnali di un’Europa che implora di riavere il gas russo. Nel mostrare i cartelli della vostra protesta, chiedetevi se il corteo nel quale state sfilando accorcerà la guerra o prolungherà le sofferenze del popolo ucraino. E quando scendete in strada per denunciare gli aumenti dei prezzi e le chiusure delle fabbriche, assicuratevi di portare con voi una bandiera ucraina.

Traduzione di Anna Bissanti

Tradotto in collaborazione con la Heinrich Böll Stiftung Parigi, Francia