Aljaksandr Lukašėnka ha reso la Bielorussia complice della Russia nella guerra in Ucraina. E questo, contro la volontà del popolo bielorusso. Ma importa ancora a qualcuno?

Il terzo giorno di guerra, quando centinaia di persone in Ucraina erano già morte per mano  dall’esercito russo, a Düsseldorf molte persone si sono inginocchiate. In cordoglio. Con umiltà. Con dolore. Si trattava di una manifestazione che era stata originariamente pianificata dalla comunità bielorussa della Renania Settentrionale-Vestfalia per protestare contro la dittatura al potere a Minsk; era anche una risposta specifica al progetto di Aliaksandr Lukašėnka di cambiare la Costituzione bielorussa per far in modo che il Presidente non potesse più essere perseguito penalmente per gli atti compiuti durante il suo mandato. In altre parole: immunità totale per un dittatore.

I più ottimisti si aspettavano che alla manifestazione fossero presenti circa 50 persone, come nelle precedenti.

Dopo 18 mesi di proteste, nessuno si faceva illusioni. Ma questa volta era diverso: cittadini ucraini venivano uccisi da missili russi lanciati dal territorio bielorusso.

L’assembramentobielorusso a Düsseldorf si è trasformato in una manifestazione contro la guerra, alla quale hanno partecipato oltre cinquemila persone. I bielorussi presenti hanno preso la parola per parlare, pubblicamente, della vergogna e del senso di colpa per non essere riusciti a fermare Lukašėnka e impedire la guerra.

Se non fosse stato per Lukašėnka e per il fatto che avesse messo a disposizione della Russia il suo territorio come avamposto per le sue truppe, Putin sarebbe entrato in guerra contro l’Ucraina?

La società civile e la politica tedesca hanno parlato di “solidarietà”. La prima volta che ho sentito questa parola durante la  manifestazione, i miei occhi si sono riempiti di lacrime: lacrime di rabbia. A parte il fatto che la solidarietà non conferisce alcuna protezione dai carri armati e dai missili russi, in quanto cittadina bielorussa avevo ben chiaro il fatto che se tutto quello che gli ucraini potevano  sperare era la “solidarietà”, allora per il loro Paese era tutto finito.

Mi è tornata in mente un’e-mail che qualcuno mi aveva inviato quando le immagini in arrivo dalla Bielorussia potevano ancora occupare le prime pagine dei giornali in Germania: “Mi inchino davanti al popolo bielorusso e alla sua protesta pacifica”. La stessa persona, intanto, ha cancellato la sua partecipazione, prevista, a una manifestazione di solidarietà.

“Cosa ci si può aspettare da una dittatura repressiva?”

In quel periodo ero già a conoscenza delle accuse, piuttosto secche, degli attivisti del movimento pacifista tedesco, secondo i quali l’opposizione bielorussa era controllata e finanziata dall’Occidente, mentre il ruolo delle forze di sicurezza si limitava a garantire l’ordine nel Paese. L’opinione pubblica nel suo complesso non ha avuto modo di conoscere le varie, anche se isolate, iniziative in Germania a sostegno delle proteste pacifiche in Bielorussia, e i mezzi d’informazione ormai da tempo consideravano la storia chiusa. Mi consolavo con il pensiero che l’atteggiamento assunto da molti tedeschi, riassumibile in  “Cosa ci si può aspettare da una dittatura repressiva?”, venisse dalla miseria nella quale ti mette l’impotenza, piuttosto che noia o indifferenza. Un rapporto delle Nazioni Unite aveva appena confermato torture e violenze sessuali nelle carceri bielorusse, 18 mesi dopo le elezioni fraudolente del 9 agosto 2020.

Non è la verità che muore per prima in tempo di guerra, ma le persone. La verità è ora visibile, sotto gli occhi di tutti, nella forma delle sanzioni che, improvvisamente, è diventato possibile imporre alla Bielorussia come conseguenza della guerra in Ucraina.

Appare evidente quanto la dittatura bielorussa sia rimasta legata all’Occidente durante quei 18 mesi, nonostante tutte le dichiarazioni di quest’ultimo sul rifiuto di riconoscere Lukašėnka come Presidente.

Alla fine del 2021, persino gli economisti bielorussi indipendenti parlavano di un “miracolo nelle esportazioni“. I primi 5 Paesi per le esportazioni bielorusse nel gennaio 2022 erano Russia, Ucraina, Paesi Bassi, Polonia e Stati Uniti. Per quanto riguarda le importazioni, invece, Russia, Cina, Ucraina, Germania e Polonia. Questo significa che, per per tutto il 2021, i bielorussi si erano solo illusi che il mondo intero considerasse Lukašėnka una presenza tossica. Quante petizioni e lettere di bielorussi ci sono volute per ottenere l’esclusione della Bielorussia dall’Eurovision Song Contest!

Le sofferenze della Bielorussia non sono bastate a far sì che il Consiglio d’Europa o la Federazione ciclistica mondiale interrompessero le relazioni con il Paese: perché questo avvenisse è stata necessaria la sofferenza dell’Ucraina. Che fine hanno fatto tutte le preoccupazioni sul fatto che le sanzioni avrebbero danneggiato i “cittadini bielorussi comuni”?

Quando i cittadini bielorussi scioperavano, protestavano, pagavano con la loro libertà ogni parola espressa in pubblico e chiedevano che Lukašėnka venisse isolato e che venissero interrotte tutte le relazioni con lui, sono stati sbeffeggiati, con paternalistica preoccupazione e solidarietà. Se l’Ue si fosse mossa rapidamente per isolare realmente Lukašėnka in quel momento, forse si sarebbe potuto ottenere qualcosa. Invece, l’Ue ha adottato la linea politica della non interferenza, mettendo in qualche modo insieme due modi di vedere il Paese, reciprocamente contraddittori: da un lato, “la situazione” in Bielorussia era una questione interna; dall’altro, la Bielorussia rientrava nella sfera di influenza informale della Russia.

L’interferenza della Russia negli affari bielorussi era quindi vista essa stessa come una questione interna, situazione nella quale sarebbe stato inappropriato interferire.

Appoggiare una protesta pacifica avrebbe potuto provocare Vladimir Putin e mettere a rischio la pace in Europa. La Bielorussia era vista come uno Stato che aveva certamente un governo, ma non la sovranità. Grazie a questa visione, l’Occidente ha regalato, e da tempo, la Bielorussia a Putin, e tradito i manifestanti e i resistenti bielorussi che difendevano la loro libertà.

Da oltre un anno e mezzo mi chiedo perché le democrazie occidentali considerino ancora la libertà, la dignità umana e lo Stato di diritto come privilegi locali, mentre ai dittatori è permesso di operare e prosperare a livello globale. Se c’è qualcuno che, negli anni recenti, ha avuto la libertà di rimodellare l’ordine mondiale sono proprio i dittatori. Ma lo stesso privilegio non è certo per le persone che devono vivere sotto il loro controllo.

Crescono i muri ai confini orientali dell’Ue

Da quando un aereo Ryanair è stato costretto ad atterrare a Minsk, lo spazio aereo europeo è “protetto” rispetto ai bielorussi: non ci sono più voli da e per la città. Lungo i confini esterni orientali dell’Ue si stanno erigendo muri per tenere fuori i rifugiati, che arrivano sotto la spinta di Lukašėnka. Se esiste qualcosa senza confini  in questo mondo, non sono certo i diritti umani, ma l’influenza della propaganda russa, la comprensione dimostrata verso i regimi autoritari e l’incapacità di distinguere la libertà dalla schiavitù.

Il discorso pubblico in Germania, ad esempio, sottolinea esplicitamente che ciò che sta accadendo in Ucraina è “la guerra di Putin”, tracciando così una sottile distinzione tra Putin e i russi nel loro complesso. Non si fa invece una distinzione simile tra Lukašėnka e i bielorussi, o anche se la si fa, il desiderio di pace e libertà dei bielorussi viene accolto solamente con parole di circostanza. E questo nonostante l’Ue non consideri Lukašėnka (a differenza di Putin) un Presidente legittimo e nonostante le ricerche della Chatham House abbiano ripetutamente dimostrato che la maggioranza dei bielorussi si oppone alla guerra.

Ci sono volontari bielorussi che combattono a fianco degli ucraini; altri documentano e pubblicano dati sui movimenti militari russi in Bielorussia; altri stanno bloccando il trasporto ferroviario. Altri ancora, invece, non possono fare nulla perché sono in prigione, alcuni rischiano la loro libertà con ogni commento che pubblicano sui social media. Quanti bielorussi ci sono in queste condizioni? Non lo so. Come potrei saperlo? Sono abbastanza? Non abbastanza per fermare la guerra, questo è certo.

I 1108 prigionieri politici e le oltre 40mila persone che hanno vissuto le carceri bielorusse dall’interno (dati del 2021; non sono disponibili dati successivi) sono stati lasciati soli ad affrontare il regime. E nessuno qui può nemmeno lontanamente immaginare cosa significhi.

Un esempio? Vuoi uscire per fare la spesa e ti ritrovi, invece, ad essere interrogato e a dover confessare, sotto costrizione, crimini, anche estremi, che non hai mai commesso. La tua confessione viene registrata. Alcune di queste confessioni vengono pubblicate immediatamente; altre vengono conservate per un uso futuro, non si sa mai.

Oppure ti accorgi improvvisamente che lo spioncino della tua  porta di casa è stato coperto con qualcosa che sembra gomma da masticare, così non puoi vedere le persone che entrano nell’appartamento del tuo vicino. E a quel punto sai che qualcuno è stato buttato a terra e picchiato, prima di essere arrestato. E così impari a vedere attraverso i muri.

Oppure vieni a sapere che le prigioni hanno smesso temporaneamente di accettare pacchi per i detenuti, e sai che è una cosa inquietante. Nessuno saprà mai cosa succede dietro le sbarre. Questa esperienza di impotenza ha cambiato tutto, per sempre. Puoi ancora inspirare. Ma da più di 18 mesi a questa parte, non osi espirare.

In Germania ora si sa, almeno in teoria, dove si trova la Bielorussia dal punto di vista geografico. Ma dove sta davvero, nel momento in cui in tanti, in Bielorussa, se ne vanno? In Uzbekistan, risponde uno dei miei amici bielorussi. Alcuni bielorussi direbbero Georgia; molti altri ancora parlerebbero di Polonia o Lituania. Migliaia avrebbero detto Ucraina, se glielo aveste chiesto prima della guerra. Dal 24 febbraio [2022], altre centinaia, forse migliaia (nessuno conosce il numero esatto) di bielorussi sono fuggiti dal Paese, questa volta per paura della coscrizione.

La Bielorussia non solo è stata esiliata, ma è stata messa dietro a muri che l’hanno trasformata in una gigantesca prigione. Non c’è nessun luogo al mondo in cui i bielorussi possano sentirsi al sicuro perché provengono da un paese che ora è complice della Russia. E il mondo ha la memoria corta. Chi è disposto a condividere il peso della vergogna e della colpa dei bielorussi?

Per il resto non c’è nulla di nuovo: al quarto giorno di guerra Lukašėnka si è assicurato l’immunità. Tra le cose che sono cambiate, c’è il fatto che il  Paese ha perso il principio di neutralità sancito dalla Costituzione e che quasi mille persone sono state arrestate per le manifestazioni contro la guerra. Arresti, minacce, perquisizioni domiciliari e torture sono tuttora in corso.  Ma chi sta ancora guardando? E come sarebbe possibile?

Questo articolo è finalista dello European Press Prize 2023 ed è pubblicato in collaborazione con il premio. Su europeanpressprize.com trovi il meglio del giornalismo europeo. Distribuito da Voxeurop.eu.