I prezzi delle case e le spese d’affitto sono sempre più fuori portata per molti residenti delle città europee. Sebbene questo problema sia presente e in aumento da decenni, la sempre maggiore mercificazione del settore edilizio a partire dal 2008 ha aggravato la situazione in modo significativo. Tuttavia, se sul lungo periodo la politica rispetterà le sue promesse, l’edilizia sociale verde progettata per tutti e accessibile a tutti potrà rendere il diritto alla casa una realtà.

Sono trascorsi oltre dieci anni da quando l’insostenibile settore dell’edilizia abitativa ha innescato la crisi finanziaria globale. Eppure, malgrado i danni fatti, l’edilizia abitativa continua a essere trattata come un lusso. Gli hedge fund, le piattaforme per i turisti, i locatori aziendali sono sempre più presenti nelle città europee. Ne consegue che dal 2010 a oggi in Europa gli affitti sono aumentati del 16 per cento e i prezzi delle case sono saliti del 42 per cento.

L’idea che i prezzi delle case siano determinati dalle leggi dell’offerta e della domanda è profondamente radicata. Tuttavia, si tratta di una convinzione errata. Sul lungo periodo, i governi delineano i profili del sistema edilizio nella loro giurisdizione. Il sistema fiscale, la pianificazione urbanistica, le politiche di edilizia sociale, i diritti degli inquilini, e le regole finanziarie sono tutte questioni politiche e che dipendono da politiche, e insieme influiscono sul rapporto tra offerta e domanda degli alloggi e di conseguenza sulle condizioni abitative dei residenti.

Questo spiega perché le condizioni abitative in città che altrimenti sarebbero simili in termini economici e culturali possono differire enormemente. Vienna è una delle capitali a più rapida crescita in Europa. Eppure, nel 2022 gli affitti mensili medi (bollette incluse) in città sono stati di appena 8,6 euro per metro quadro. Al contrario, gli affitti mensili medi nelle città della vicina Germania sono stati circa il doppio: 18,9 a Monaco, 15,9 ad Amburgo e Francoforte, e 14,30 a Berlino.

Le situazioni dell’edilizia abitativa in Austria e in Germania sono sostanzialmente simili. La percentuale di proprietari di casa è relativamente bassa – il 55 per cento in Austria e il 51 per cento in Germania – e le banche sono inflessibili nella gestione dei mutui ipotecari. Nelle rispettive capitali la percentuale di proprietari di casa è ancora inferiore, e rappresenta il 21 per cento del totale a Vienna e il 17 a Berlino, stando alle statistiche ufficiali. In entrambi questi Paesi, le autorità regolano molto severamente il mercato degli affitti. In linea generale, gli affittuari ricevono un contratto d’affitto a tempo indeterminato ed entrambi i Paesi pongono vincoli all’aumento del canone d’affitto che i padroni di casa possono applicare da un contratto precedente a quello successivo.

Malgrado queste somiglianze, oltre il 10 per cento dei nuclei famigliari tedeschi è in overburden rate, (cioè spende nella casa più del 40 per cento del reddito disponibile). In Austria ciò accade nella misura di appena il 6,1 per cento. Queste cifre non includono nel calcolo le rate del mutuo per le case occupate da proprietari, in quanto Eurostat (in modo assai discutibile) considera tali rate come investimenti.

Se calcolate usando il metodo adottato da Destatis (l’ufficio di statistica federale tedesco), la percentuale delle persone in overburden rate in Germania nel 2019 si attestava addirittura al 13,9 per cento, superiore rispetto al 7 per cento dell’Austria. La pandemia, poi, ha aggravato notevolmente la situazione. Nel 2020, l’overburden rate tedesco si attestava al 20 per cento, un tasso due volte superiore alla media dell’Ue e quasi triplo rispetto a quello dell’Austria. Come si spiegano queste differenze?

La differenza la fa l’edilizia popolare

Negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, le democrazie occidentali misero a punto grandi programmi di edilizia sociale e popolare per soddisfare il diritto alla casa, e la casa divenne un pilastro del welfare state europeo del dopoguerra.

Nel Regno Unito, in base alla visione di Aneurin Bevan (ministro della Sanità dal 1945 al 1951), si costruirono alloggi popolari per rispondere alle esigenze di un’ampia fetta della popolazione. Tra il 1946 e il 1979, il governo britannico edificò cinque milioni di case. Nel 1977, l’edilizia popolare costituiva il 32 per cento del patrimonio immobiliare inglese, percentuale che coincideva con l’obiettivo del Partito laburista di garantire che l’edilizia popolare fosse condivisa tra una molteplicità di gruppi sociali.

Sul lungo periodo, i governi delineano i profili del sistema edilizio nella loro giurisdizione.

Questa fase si concluse con l’elezione di Margaret Thatcher nel 1979 e con l’introduzione dell’Housing Act l’anno dopo. L’epoca neoliberale continuò a cambiare drasticamente il panorama dell’edilizia abitativa, e in molti Paesi poco alla volta la casa divenne un asset di mercato. Nel 1980, il governo conservatore appena eletto introdusse il Right to Buy, una politica che rendeva possibile agli affittuari degli alloggi popolari comperare le loro case con sconti generosi. Di conseguenza, lo Stato vendette 2,6 milioni di case popolari. La privatizzazione delle case popolari fu una delle politiche che caratterizzarono l’epoca di Thatcher. Più che una semplice riforma dell’edilizia, il Right to Buy cambiò il tessuto sociale britannico, trasformando molti affittuari che tradizionalmente votavano laburista in proprietari di casa che votarono per il partito conservatore. La stessa Thatcher disse che la legge aveva “spianato la strada alla democrazia della proprietà”. Oggi nel Regno Unito i prezzi delle case, rispetto agli anni Settanta, sono tre volte meno accessibili. 

Dalla privatizzazione all’espropriazione a Berlino

Negli anni successivi alla riunificazione, la Germania seguì la strada tracciata da Thatcher. Fino al 1989, le imprese edili avevano lo status di no-profit in Germania (Germania ovest inclusa). Nel corso degli anni Novanta e Duemila, invece, il governo privatizzò la maggior parte dell’edilizia pubblica. I comuni trasferirono ingenti asset dell’edilizia pubblica a investitori privati orientati al mercato, modificando per sempre il panorama immobiliare tedesco.

In seguito alla privatizzazione, oggi l’edilizia popolare costituisce soltanto il 3 per cento circa del patrimonio immobiliare tedesco. Alle origini della grande proprietà di case che apparteneva allo Stato tedesco vi era l’edilizia popolare della Repubblica democratica tedesca (DDR) e gli asset edilizi delle aziende pubbliche della Germania Ovest. Negli anni Novanta furono privatizzate tre milioni di case che erano state di proprietà della DDR. Oggi l’azienda privata che possiede il maggior numero di case in Europa è Vonovia, con sede a Bochum, proprietaria di circa 400mila alloggi tedeschi.

Il suo patrimonio si basa su asset edilizi privatizzati delle società ferroviarie pubbliche tedesche e della compagnia dell’energia elettrica pubblica del Paese. Questi beni furono acquistati dall’azienda statunitense di private equity Fortress nel 2004 tramite un’azienda che in seguito avrebbe dato vita a Vonovia.

Nel 2004, il Land di Berlino vendette 60mila case a Cerberus Capital Management e Goldman Sachs. Quegli alloggi costituirono le prime proprietà dell’azienda Deutsche Wohnen, di recente confluita in Vonovia. Quella privatizzazione del patrimonio pubblico ha creato un’opposizione sociale che perdurò per molto tempo. Nell’autunno 2021, il 59 per cento dei berlinesi ha votato in un referendum la volontà di espropriare dai grandi proprietari immobiliari circa 240mila case. Il referendum, denominato ufficialmente “Expropriate Deutsche Wohnen & Co.”, era inequivocabile nei suoi obiettivi. Malgrado il risultato della votazione, da allora è accaduto ben poco. Il governo statale appare riluttante a procedere alle espropriazioni, e non è obbligato a farlo in quanto il referendum era consultivo e non vincolante. Berlino ha anche adottato una soglia massima temporanea per gli affitti che interessa il 90 per cento degli appartamenti della città. In ogni caso, la Corte costituzionale tedesca ha ritenuto il tutto anticostituzionale. A un anno dal referendum, gli abitanti di Berlino sono ancora in attesa di soluzioni per i loro affitti sempre più cari.

Mentre la strada da seguire resta poco chiara, in altri contesti emergono esempi di come la chiave per garantire un mercato immobiliare vivibile e accessibile resti un’edilizia popolare ben presente, anche se già i controlli sugli affitti riescono a limitarne efficacemente gli aumenti.

Da Vienna Rossa ad Aspern-Seestadt

L’offensiva neoliberale può aver abolito il diritto alla casa in Germania e nel Regno Unito; tuttavia, il Land austriaco di Vienna non ha mai smesso di sviluppare importanti programmi di edilizia sociale, a partire dal famoso lascito della Vienna Rossa, nel periodo tra le due guerre. Il periodo tra il 1919 e il 1934, infatti, vide Vienna mettere a punto programmi molto ambiziosi in campo sanitario, nella pubblica istruzione e nell’edilizia abitativa, guidati da un principio di giustizia sociale. Sotto la leadership del Partito Socialdemocratico d’Austria (SPÖ), in quello stesso periodo Vienna costruì 66mila case popolari. Al motto di “luminosità, aria fresca e sole”, fu perseguito l’obiettivo di fornire a tutti i residenti abitazioni sane e belle. SPÖ ha vinto ogni singola elezione a Vienna fin dal periodo della Vienna Rossa.

A Vienna, garantire accessibilità e qualità della casa è un principio che vale ancora, oggi come un secolo fa. Oggi il comune di Vienna possiede 220mila appartamenti. Allo stesso tempo, alcune associazioni edilizie a basso profitto possiedono 185mila appartamenti e hanno contribuito alla creazione di buona parte del patrimonio edilizio, occupato da proprietari tramite un programma di edilizia sovvenzionata. Il 62 per cento dei residenti di Vienna vive in alloggi popolari. Per legge, in tali abitazioni sono consentiti soltanto contratti a tempo indeterminato.

Malgrado i successi di località come Vienna, vasti programmi di edilizia pubblica risultano tuttora controversi per la Commissione europea. Nel 2009, la Commissione decretò che il modello di edilizia sociale olandese era incompatibile con le leggi dell’Ue per la concorrenza. Secondo quella decisione, l’edilizia sociale doveva essere dedicata esclusivamente alle persone socialmente svantaggiate. Fortunatamente, Vienna non ha seguito le indicazioni della Commissione. Per scongiurare la creazione di ghetti con servizi pubblici fatiscenti, il patrimonio immobiliare pubblico della città ospita persone di estrazione sociale quanto mai differenziata.

La chiave per garantire un mercato immobiliare vivibile e accessibile è un’edilizia popolare ben presente.

Il settore dell’edilizia sociale a Vienna, pertanto, non è composto da “case in sconto” destinate soltanto ai nuclei familiari a basso reddito. La missione del Wiener Gemeindebau (il settore dell’edilizia municipale di Vienna) è fornire alloggi accessibili e ambienti di alta qualità a un’ampia fascia della popolazione. Le soglie di reddito sono concepite per garantire che circa l’80 per cento di tutte le famiglie viennesi possano teoricamente avere diritto a un alloggio popolare.

La capitale austriaca è riuscita quindi a adattare la sua politica edilizia alle condizioni sociali in costante evoluzione. Negli anni Ottanta, Vienna era una metropoli in declino alla periferia dell’Europa occidentale. Il suo piano di sviluppo si concentrò in particolare sul rinnovamento urbanistico e sull’ammodernamento del patrimonio culturale della città. Il consiglio comunale rinnovava in media diecimila alloggi l’anno per migliorare le condizioni di vita dei residenti e al contempo ridurre le spese per l’elettricità e il riscaldamento.

La caduta del comunismo cambiò radicalmente la situazione. Vienna divenne una città a rapida espansione e si ritrovò nel cuore d’Europa. Oggi ha 350mila abitanti in più rispetto al 1989. Durante tutti gli anni Novanta, le politiche per l’edilizia sociale, l’integrazione e l’ecologia divennero i pilastri della politica della città, dando vita a un progetto a tutto tondo incentrato sulla qualità della vita. Nel referendum del 1995, Vienna respinse il megaprogetto dell’Expo che avrebbe dato la priorità alle esigenze dei turisti rispetto a quelle dei residenti, scegliendo invece di mettere a punto un progetto idroelettrico rinnovabile e di creare ampi spazi verdi intorno alla città.

Nel 2010, l’SPÖ formò una coalizione con il Partito dei Verdi. I Verdi austriaci si assunsero la responsabilità della pianificazione urbanistica, energetica e della rete dei trasporti. Da allora, Vienna ha aumentato il tasso di realizzazione di alloggi accessibili, portandolo da tremila a settemila l’anno per soddisfare le domande in crescita, prima di aumentarlo ancor più fino a diecimila alloggi l’anno. Ogni anno Vienna spende circa 570 milioni di euro per sovvenzionare, costruire e garantire la manutenzione del suo patrimonio di edilizia pubblica.

Il consiglio comunale rosso-verde (2010-2019) inoltre ha dato priorità alle tematiche ecologiche. Durante il suo mandato, ha iniziato a trasformare alcune piattaforme ferroviarie di scali merci in disuso e altre aree industriali dismesse in aree urbane residenziali e commerciali. Ai costruttori è stato chiesto di edificare alloggi sovvenzionati a condizioni accessibili e la città li ha selezionati in funzione della qualità garantita. Tra gli importanti progetti edilizi portati avanti dal comune ci sono Nordbahnhof (10mila case), Nordwestbahnhof (10mila case), Sonnwendviertel (5 mila case), e Aspern-Seestadt (11500 case).

Umani, animati, intimi e sicuri

Situato nel ventiduesimo distretto di Vienna, Aspern-Seestadt è il progetto di sviluppo urbanistico più grande d’Europa. Entro il 2030, la città avrà investito cinque miliardi di euro per convertire 240 ettari di terreni precedentemente dismessi in un’area residenziale e commerciale sostenibile per 25mila residenti, con 20mila potenziali posti di lavoro. Per guidare il progetto è stato chiamato l’urbanista svedese Johannes Tovatt, che ha dichiarato: “la nostra ambizione era quella di fornire un piano che creasse strade e spazi pubblici fondamentalmente aperti a tutti, umani, animati, intimi e sicuri”.

Una volta ultimato il progetto, il 60 per cento dei residenti vivrà in alloggi sovvenzionati di vario tipo, garantendo un mix sociale. Il comune fornisce i terreni, mentre i sussidi vanno direttamente alle associazioni edilizie. Il quartiere così come è stato pianificato si articola attorno a un lago artificiale di cinque ettari, circondato da edifici abitativi, aziende commerciali, istituti scolastici. Una giuria valuta ogni proprietà edilizia sulla base della qualità architettonica, delle spese, della sostenibilità sociale e dell’impatto ecologico. Tutti gli edifici sono a basso consumo energetico o addirittura passivo e sono collegati alla rete di distribuzione del riscaldamento gestita dal comune.

L’area avrà un mix funzionale di spazi abitativi e di lavoro per migliorare la mobilità. I trasporti pubblici, le biciclette e i pedoni avranno la priorità. L’obiettivo è di puntare al 40 per cento degli spostamenti in bicicletta, al 40 per cento con i mezzi pubblici e al 20 con il traffico motorizzato. Nella dichiarazione di intenti, i progettisti che hanno firmato il progetto hanno deciso di costruire prima di tutto una linea della metropolitana. La loro visione prevede che l’opzione del trasporto pubblico più accessibile risulti ovunque più vicina rispetto a qualsiasi parcheggio per le automobili.

Barcellona contro lo shock edilizio

Vienna non è un caso isolato. Anche a Barcellona troviamo un modello di politica abitativa del futuro. Negli ultimi cinque anni, i movimenti sociali e il comune di Barcellona poco alla volta hanno deciso di affrontare il problema degli affitti in aumento e di trasformare la città. Questo cambiamento rappresenta un vero e proprio passo avanti rispetto al sistema dell’edilizia abitativa in Spagna. Mentre la maggior parte dei Paesi occidentali stava costruendo il suo welfare state, Spagna, Grecia e Portogallo soffrivano da tempo, sotto regimi di dittature di destra che non mostravano alcun interesse per i diritti umani. La transizione verso la democrazia arrivò intorno alla metà degli anni Settanta, proprio quando nel resto d’Europa il welfare state stava iniziando, quasi ovunque, a sparire. Di conseguenza, questi Paesi hanno bassi livelli di edilizia sociale. In Spagna, la casa è, prima e più di qualsiasi altra cosa, un asset commerciale.

Negli ultimi dieci anni, la Spagna ha sofferto di uno “shock dell’edilizia abitativa”, espressione coniata dal ricercatore irlandese Rory Hearne per spiegare la transizione da un sistema abitativo dominante a un altro. Dagli anni Sessanta fino alla crisi finanziaria, il sistema spagnolo dell’edilizia abitativa è stato caratterizzato dall’acquisto della casa ottenuto soltanto con enormi indebitamenti. Dalla crisi in poi, gli alti anticipi richiesti hanno poi limitato l’accesso ai mutui ipotecari. Al tempo stesso, alcuni hedge fund americani tra cui Blackstone, Lone Star, e Cerberus, hanno fatto irruzione sulla scena edilizia spagnola, comprando circa 500mila alloggi in modo diretto o tramite una privatizzazione indiretta. Da ciò sono derivati migliaia di sfratti e di affittuari oberati da affitti costosissimi.

Tutto questo non poteva non incontrare opposizione. Alcuni movimenti dal basso come Platform Against Evictions e altri sindacati di affittuari hanno deciso di combattere questo iniquo sistema edilizio. Fin da quando l’ex attivista dei diritti per la casa Ada Colau è diventata sindaca di Barcellona nel 2015, la capitale catalana ha seguito l’esempio di Vienna. Malgrado la mancanza del potere legislativo e di vincoli finanziari, la città è intervenuta con vigore per aumentare il patrimonio di alloggi a prezzo accessibile. Il suo piano per il diritto alla casa comprende progetti di edilizia pubblica, forme di partenariato tra comunità pubbliche e private, acquisizioni, una temporanea mobilitazione di alloggi privati per poter raggiungere ampi strati della popolazione. Il patrimonio dell’edilizia pubblica così è cresciuto dalle 7.500 unità del 2015 alle 19.912 del giugno 2022.

Un arazzo vivente

Come Vienna e Barcellona, anche la Francia ha opposto resistenza all’ondata neoliberale che ha influenzato le politiche abitative. Nel 2000 il governo francese ha varato una legge per la solidarietà e l’ammodernamento urbano che impone ai singoli comuni di soddisfare entro il 2025 almeno il 25 per cento delle richieste di alloggi pubblici. Anche se questo obiettivo non sarà raggiunto in tutti i comuni, la legge ha portato alla costruzione di 1,8 milioni di unità abitative di edilizia pubblica. La percentuale della popolazione che corrisponde a nuclei familiari in difficoltà economica – e per i quali le spese per la casa superano il 40 per cento del reddito disponibile – era del 4,7 per cento nel 2018 e del 5,5 per cento nel 2019. Si tratta della percentuale più bassa in Europa occidentale. A differenza di Vienna, tuttavia, i progetti di edilizia pubblica in Francia hanno spesso portato a una certa segregazione e addirittura alla formazione di ghetti. 

I sistemi dell’edilizia abitativa sono il risultato di scelte politiche. Alcuni Paesi come Austria e Germania, che sono assai simili, possono avere risultati assai diversi in fatto di edilizia e in termini di livelli di debito, proprietà, accessibilità e di ciò che la casa significa sul piano del design delle nostre città. Francia e Austria hanno scelto entrambe di perseguire il diritto alla casa come un diritto umano grazie ad ambiziosi programmi di edilizia pubblica e sociale. Poiché la costruzione su vasta scala di case di qualità richiede tempo, alcuni sistemi di edilizia abitativa come quelli di Vienna e della Francia richiedono progetti politici a lungo termine. Per avere successo, è indispensabile che vi sia una cooperazione politica a livello locale, nazionale ed europeo.

Dando importanza alla coesione sociale, Vienna si avvicina come non mai all’aspirazione di Aneurin Bevan di dar vita a un’edilizia sociale che rifletta “l’arazzo vivente di una comunità eterogenea”. La città si classifica sistematicamente come uno dei posti migliori al mondo per qualità della vita, in particolare per la sua edilizia, le sue infrastrutture e la sua cultura. La sua esperienza, insomma, è la prova vivente che l’edilizia sociale migliora la qualità della vita nel suo complesso, offrendo prosperità a molti.

Tradotto in collaborazione con la Heinrich Böll Stiftung Parigi, Francia