Blocchi militari, condizioni meteorologiche instabili e speculazione finanziaria contribuiscono insieme ad una crisi alimentare senza precedenti. Emblema dell’attuale situazione di crisi su diversi fronti, un sistema alimentare creato per un mondo senza imprevisti non può che ritrovarsi esso stesso nel caos, e sono i più poveri a pagarne il prezzo più alto. Se vuole garantire l’accesso al cibo e al contempo tutelare l’ambiente, l’Europa non può più permettersi di rimandare la creazione di un sistema alimentare resiliente e basato sull’agro-ecologia.

Green European Journal: I prezzi dei beni alimentari sono in aumento almeno dal 2020, e la guerra in Ucraina non ha fatto che peggiorare la situazione. Molti analisti prevedono che la situazione non si risolverà sul medio termine. Quali sono i fattori all’origine della crisi alimentare globale?

Priscilla Claeys: La guerra in Ucraina ha rivelato la fragilità del nostro sistema alimentare globalizzato, proprio come era già successo con la pandemia. L’aumento dei prezzi non ha un impatto uniforme: i più colpiti saranno i paesi che dipendono strutturalmente dalle importazioni di alimenti e, all’interno di essi, le popolazioni più marginalizzate subiranno maggiori conseguenze. Ciò che emerge dalla crisi attuale è il fallimento della globalizzazione alimentare gradualmente messa in atto a partire dagli anni ‘90.

Il 70 per cento delle persone che soffrono di fame cronica o malnutrizione vive in zone di conflitto. L’attenzione portata sulla situazione in Ucraina non deve farci dimenticare le altre zone di guerra: Afghanistan, Repubblica Centrafricana, Somalia… Questi conflitti sono spesso legati ad un uso inefficace delle risorse naturali quali gas, acqua e terreni; in alcuni casi, i conflitti nascono proprio dalla lotta per queste risorse. Servono soluzioni a lungo termine, in particolare per assicurare una pace duratura.

Benoît Biteau: Sono d’accordo sul fatto che la guerra in Ucraina ha messo in luce i punti deboli del sistema alimentare globale, come già fatto in parte dal Covid-19. Durante la pandemia, però, la crisi era meno evidente e meno chiara. L’invasione dell’Ucraina ha messo in difficoltà uno dei maggiori esportatori al mondo di generi alimentari di base; ne subiscono le conseguenze Paesi quali l’Egitto, gli Stati del Nordafrica e del Medio Oriente, eccessivamente dipendenti da queste importazioni.

Si parla molto di solidarietà durante l’attuale crisi, ma è doveroso anche parlare di speculazione. A causa della situazione in Ucraina, c’è chi specula in maniera cinica e immorale per alzare i prezzi del cibo. Non tutti i Paesi saranno in grado di pagare a caro prezzo i generi alimentari di cui hanno bisogno, e chi non ci riesce avrà bisogno di aiuti e supporto finanziario per poter continuare a importare generi alimentari.

Com’è possibile che la sicurezza alimentare di così tanti Paesi dipenda da Russia ed Ucraina?

Benoît Biteau: La creazione di un mercato alimentare globalizzato ha portato alla specializzazione di intere aree del pianeta. L’Ucraina e la Russia, in particolare, si sono specializzate nella produzione di grano, cereali e olio di semi. La situazione di crisi geopolitica della regione genera quindi grandi difficoltà a livello mondiale. In passato, quando la produzione globale era diversificata, le conseguenze sarebbero state meno gravi. La specializzazione imposta dal nostro mercato ha dato vita ad una situazione disastrosa.

Priscilla Claeys: La crisi attuale deriva dal considerare il cibo come una merce. Gli accordi di libero scambio istituiti fin dagli anni ‘90 hanno contribuito alla specializzazione di alcune regioni, secondo una dinamica ereditata anche dall’era coloniale. La specializzazione dell’Ucraina è la stessa di quei Paesi africani i cui sistemi agricoli sono destinati all’esportazione di caffè, cotone o cacao. L’antica diversità dei sistemi alimentari appare oggi distrutta.

In tutto il mondo vi sono movimenti che richiedono di riconoscere il cibo come bene comune o diritto umano, come stipulato, del resto, dal Patto dalle Nazioni Unite sui diritti economici, sociali e culturali del 1966. Il quesito fondamentale ora riguarda come, partendo dal riconoscimento del cibo come bene comune o del diritto al cibo, si possano implementare politiche di scambio ed investimento volte a costruire un sistema alimentare globale diverso.

La produzione di cibo sarebbe in realtà sufficiente a sfamarci tutti.

Benoit Biteau

Il problema non riguarda solo il resto del mondo: nel 2021, 95 milioni di persone in Europa erano a rischio povertà. In che modo i prezzi influenzano l’accesso al cibo in Europa?

Benoît Biteau: Le più colpite sono le persone con meno disponibilità economiche. Il problema non è la disponibilità del cibo: l’aumento dei prezzi è il risultato di speculazioni e di scelte fatte in passato. La produzione di cibo sarebbe in realtà sufficiente a sfamarci tutti. Pensiamo, per esempio, al 57 per cento della produzione di grano destinata a nutrire il bestiame, o al 20 per cento che serve per produrre bioetanolo e riempire i nostri serbatoi di carburante. Solo il 23 per cento della produzione finisce nei nostri piatti: si tratta quindi di una scarsità artificiale. Con la giusta volontà e determinazione politica, potremmo ridirigere tutto il cibo usato per allevamenti e agrocarburanti, mettendo fine ad una situazione in cui le persone più svantaggiate, in Europa e nel mondo, non hanno la possibilità di nutrirsi correttamente.

Priscilla Claeys: La crisi dell’energia non fa che aggravare il problema. Le organizzazioni attive sul campo per contrastare la povertà riportano situazioni di grave difficoltà: le famiglie meno abbienti non comprano più le patate perché richiedono troppo tempo per cuocere. Alcune di loro si trovano a compiere scelte davvero difficili riguardanti cibo, alloggio, istruzione. Si tratta di diritti umani relegati ad un budget estremamente ridotto.

Benoît Biteau: Un altro collegamento con la crisi energetica riguarda il modo in cui produciamo il cibo. L’attuale modello basato sull’agricoltura intensiva dipende in larga parte da sostanze sintetiche che derivano direttamente dai combustibili fossili, in particolare i fertilizzanti. I produttori si troveranno ad avere delle perdite perché la produzione di cibo non è più sostenibile. Stiamo andando verso una realtà come quella del Sud del mondo, in cui sono proprio gli agricoltori ad avere più difficoltà a mettere il cibo in tavola.

Negli ultimi anni, abbiamo assistito a periodi di siccità straordinariamente lunghi e impietosi in diverse regioni del mondo: Brasile, Cina settentrionale, gran parte dell’Europa e dell’India, per citarne alcune. Che conseguenze ha la crisi ecologica sul nostro sistema alimentare?

Benoît Biteau: Sia la geopolitica che i cambiamenti climatici possono avere conseguenze negative sulla sicurezza alimentare. Se, in futuro, un’altra regione produttrice di cibo dovesse soffrire gravi problemi ambientali, ci troveremmo di fronte agli stessi problemi che vediamo oggi con la guerra in Ucraina. Il dato davvero allarmante è la frequenza dei disastri ambientali. In passato, si assisteva ad un’alluvione ogni cento anni; poi si è iniziato a parlare di inondazioni ogni dieci anni; oggi, alcune zone del mondo sono inondate ogni anno. L’agricoltura è quindi intrinsecamente legata ai cambiamenti climatici. Se è vero che le coltivazioni industriali ne sono una delle cause, d’altra parte un’agricoltura sostenibile basata sull’agro-ecologia può essere parte della soluzione.

Priscilla Claeys: Sono molteplici i legami tra l’agricoltura e il clima: da un lato, l’agricoltura industriale produce emissioni in grande quantità, seconda solo al settore dei trasporti; dall’altro, gli agricoltori sono i primi a subire le conseguenze dei cambiamenti climatici. Di fronte ad alluvioni e siccità, che talvolta colpiscono nel corso dello stesso anno, credo che sempre più persone si stiano interrogando sul nostro modo di coltivare.

L’emergenza climatica dovrebbe portarci verso un’agricoltura locale e diversificata. Le soluzioni esistono già: è stato dimostrato che i semi autoctoni e locali sono strumenti efficaci per contrastare i cambiamenti climatici e ricostruire l’agricoltura dei territori. Conosciamo già i metodi da utilizzare, che potrebbero tra l’altro contribuire a creare posti di lavoro buoni e ben pagati (il che non è così frequente in ambito agricolo), ma resta da chiedersi se sia possibile mettere in atto i mezzi strutturali per applicare queste tecniche. C’è un vero potenziale perché lo sviluppo economico e sostenibile vada di pari passo con l’agricoltura.

Secondo voi, l’Unione europea, che ha un ruolo importante grazie alla Politica agricola comune (Pac)  sta trascurando i benefici sociali derivati dall’agricoltura sostenibile?

Benoît Biteau: Modificando le politiche in vigore, il settore agricolo potrebbe essere una grande fonte di posti di lavoro, ma la Pac non è per nulla al passo con i tempi. Tante sono le persone in cerca di lavoro e altrettante quelle desiderose di tornare nelle zone rurali, ma le linee guida su come verranno spesi i fondi europei non sono rivolte a un’agricoltura resiliente che crea posti di lavoro retribuiti sviluppando allo stesso tempo soluzioni agro-ecologiche e coltivazioni di semenze locali. Finché i fondi Ue saranno destinati ad un’agricoltura di tutt’altro tipo, non faremo che allontanarci sempre di più dalle vere soluzioni.

La Pac dovrebbe essere volta a creare le condizioni per concretizzare queste ambizioni; al contrario, quello che rappresenta un terzo del budget dell’Ue e il più ampio progetto dell’Unione è ancora completamente fuori fuoco in termini di sviluppo agricolo e sovranità alimentare.

Sempre più persone si stanno interrogando sul nostro modo di coltivare.

Priscilla Claeys

Priscilla Claeys: È un vero disastro. Le imprese agricole scompaiono ad un ritmo rapidissimo ogni anno, e i molti giovani che vorrebbero iniziare un’attività in questo settore non possono accedere alle terre a causa dei prezzi in aumento, della speculazione e delle difficili condizioni lavorative. Di recente, ho condotto un sondaggio sulle condizioni di lavoro dei giovani nell’agricoltura in tutta Europa; i risultati sono sconvolgenti: retribuzioni inadeguate, orari di lavoro eccessivi, nessuna copertura assicurativa né prospettive di mettersi in proprio a causa dei prezzi troppo elevati dei terreni. Le politiche europee non stanno affrontando il problema di come incoraggiare i giovani ad intraprendere il mestiere di agricoltori.

Ci troviamo ancora intrappolati in una tensione immaginaria tra la sicurezza alimentare e il contenimento della crisi climatica, eppure questi due obiettivi sono perfettamente in sintonia. Conservare il carbone in maniera sostenibile, proteggere l’ambiente nelle fasi di produzione di cibo e creare impieghi per i giovani sono obiettivi che vanno di pari passo. C’è un evidente collegamento tra sostenibilità climatica, economica e sociale.

L’aumento dei prezzi del cibo hanno portato alcune lobby ad opporsi ai progetti Ue per un’agricoltura più ecosostenibile. In Olanda, il governo obbliga gli allevamenti di bestiame a chiudere a causa delle alte emissioni di azoto; gli allevatori interessati stanno protestando e allertando sulle conseguenze che questa decisione potrebbe avere sul prezzo degli alimenti. Il costo della vita può diventare un argomento a sfavore della transizione ecologica nell’agricoltura?

Benoît Biteau: È stato così fin dall’attuazione della Pac. Si dice che la Pac sia necessaria per produrre generi alimentari a basso costo che siano accessibili a tutti. Il basso potere d’acquisto è sfruttato per giustificare un modello agricolo che non ha più ragione di esistere dato che, in realtà, questo tipo di agricoltura genera costi altissimi. Saranno i fondi pubblici a dover coprire i costi dei danni causati da pesticidi e fertilizzanti sintetici sull’ambiente e sulla salute umana. In un modo o nell’altro, saremo noi a pagare.

Quando sentiamo parlare di aumento dei prezzi, dobbiamo tenere a mente che le grandi multinazionali stanno registrando profitti mai visti prima. Ho parlato prima di cinismo e immoralità: [la multinazionale alimentare] Cargill ha incassato cifre da record nel 2015 [5 miliardi di dollari] grazie alla speculazione alimentare. Prima o poi, dovremo adeguare a queste dinamiche i meccanismi regolatori in vigore e mettere un tetto alla speculazione, oltre il quale il denaro dovrebbe rientrare nelle casse pubbliche. Ecco perché serve una tassa sui guadagni: come diceva mio nonno, “non esistono i più poveri senza i più ricchi”.

Ancora oggi, i consumatori europei spendono per i generi alimentari una parte del loro reddito significativamente minore rispetto al resto del mondo. L’era del cibo a buon mercato sta giungendo a una fine?

Priscilla Claeys: I prezzi del cibo sono artificialmente bassi. Se prendiamo in considerazione i sussidi della Pac nel calcolare il nostro accesso al cibo, vi aggiungiamo le conseguenze negative di cibo spazzatura e obesità e includiamo nella formula le conseguenze sulla salute dell’inquinamento ambientale, possiamo farci un’idea del vero costo degli alimenti. Una mensa scolastica che utilizzi cibo biologico prodotto localmente non solo creerebbe un clima educativo migliore, ma avrebbe anche un impatto positivo sulla salute delle giovani generazioni e sul sistema alimentare locale. Solo allora potremo parlare di cibo a buon mercato.

Il numero di cittadini europei che si affidano alle banche alimentari continua a crescere. Esistono modi per aiutare le persone a far fronte alla precarietà alimentare e al contempo trasformare il nostro sistema alimentare?

Benoît Biteau: In Francia si parla molto di come dovrebbe essere la previdenza alimentare (sécurité-sociale de l’alimentation). Un’idea potrebbe essere quella di utilizzare denaro pubblico per aiutare le persone a basso reddito a sostenere le spese legate al cibo. Bisognerebbe attuare misure progressive per dare maggiore supporto a chi ne ha più bisogno.

Priscilla Claeys: La previdenza alimentare potrebbe funzionare in questo modo: dare alle persone il diritto ad una somma mensile, da spendere unicamente presso agricoltori o produttori convenzionati. Le amministrazioni locali dovrebbero applicare un processo democratico per determinare quali produttori includere, coinvolgendo quindi le persone nel processo decisionale volto a determinare i cambiamenti da attuare nelle pratiche agricole a livello locale.

La previdenza alimentare rappresenta una proposta interessante nell’ambito del diritto al cibo, nonché una risposta concreta alla domanda su cosa significhi effettivamente questo diritto. Non vuol dire solamente che si deve garantire un salario o reddito minimo che permetta alle persone di procurarsi cibo di scarsa qualità nelle banche alimentari o nei supermercati. Il diritto al cibo potrebbe essere uno strumento per migliorare le condizioni di nutrizione degli individui e delle famiglie e trasformare il sistema alimentare europeo.

Traduzione Elena Pioli Voxeurop

Tradotto in collaborazione con la Heinrich Böll Stiftung Parigi, Francia