Al Parlamento europeo la plastica è all’ordine del giorno e il 13 settembre i deputati hanno votato su una strategia europea sulla plastica. Per sapere di più sull’impatto del inquinamento da plastica nel Mediterraneo e dell’importanza delle nuove norme europee per l’Italia e il mondo, abbiamo parlato con l’eurodeputato verde italiano Marco Affronte.

Green European Journal: Come è la situazione con i rifiuti plastici nel Mediterraneo e come siamo arrivati a questo punto?

Marco Affronte: La situazione nel Mediterraneo non è affatto buona. Sappiamo degli ultimi dati che c’è una percentuale di rifiuti molto importanti anche più elevata che quella di altri mari, ed e normale che sia così perché il Mediterraneo è un mare chiuso, ha come unico sbocco Gibilterra, e quindi tutto quello che mettiamo nel Mediterraneo, compresa la plastica, ma purtroppo non solo la plastica, tende a rimanere per molto tempo all’interno del Mediterraneo. Quindi la situazione non è affatto buona. Adesso finalmente posso dire che il problema è arrivato a due livelli: abbiamo da una parte i cittadini, il pubblico, che hanno cominciato a capire che c’è veramente un problema. Si sente spesso anche nei media, sui giornali, in televisione, il fatto che la plastica è diventata un problema, e dall’altra parte, almeno dall’Unione Europea, il problema viene affrontato a livello politico. Siamo arrivati a questo perché come al solito noi esseri umani risolviamo un problema senza poi pensare alle conseguenze. Ci serviva un materiale che fosse pratico e utile e resistente, durevole nel tempo, poi dopo ci siamo resi conto che effettivamente dura tanto nel tempo che alla fine si accumula e diventa un problema come adesso per i mari e non soltanto per i mari.

Lei viene da Rimini, un comune litoraneo, l’impatto della plastica sul suo paese?

Rimini è sull’Adriatico, quindi una parte del Mediterraneo, e si vede a diversi livelli, in spiaggia e al mare. Adesso purtroppo per esempio al mattino presto è facile vedere che arrivano molti rifiuti di plastica. A volte per esempio, quando i fiumi portano molta acqua portano i rifiuti e la cosa è abbastanza evidente. I turisti se ne accorgono meno perché durante la stagione turistica le spiagge al mattino vengono puliti quindi non è così evidente ma effettivamente il problema c’è.

Io poi ho lavorato per quasi quindici anni sui delfini e le tartarughe marine nell’Adriatico, perché prima facevo il biologo marino, e abbiamo anche prove del fatto che questi rifiuti si trovano all’interno negli organismi degli animali, nello stomaco, per esempio, oppure in piccole parti, come le microplastiche, che ci sono nei piccoli pesci che loro mangiano. Quindi le conseguenze sono da una parte visibili proprio per le persone normali che possono vederlo tutti i giorni ma anche a livello di ricerca scientifica o di organismi marini è evidente che questo impatto è molto forte.

Lei prima diceva che l’inquinamento di plastica è il risultato del nostro consumo e il fatto che non abbiamo pensato ai suoi impatti a lungo termine. Perché è una questione politica la plastica e come possiamo vedere i temi di rifiuti come questioni politiche e non solo affari tecnici?

È una questione politica perché il tipo di intervento che dobbiamo fare arrivati a questo punto e questa situazione abbastanza grave, non riguarda più soltanto la scienza. La scienza ci può dare una mano, ci può dire per esempio quali possono essere in certi casi le alternative alla plastica. Però stante questo problema a livello globale e che se non facciamo niente continuerà ad aumentare nel tempo, è ovvio che dobbiamo cambiare il nostro modo di interagire col ambiente e con la plastica in particolare. Bisogna farlo a livello politico, cioè prendendo delle decisioni e dicendo, come sta facendo in questi mesi l’Europa, dobbiamo fermarci e fare qualcosa di diverso. Quello che abbiamo fatto fino adesso non va bene e dobbiamo intervenire. Quindi è un problema politico ovviamente. Poi dopo è chiaro che la politica si fa a diversi livelli: a livello legislativo, a cui appunto l’Unione Europea adesso sta lavorando con tante iniziative differenti, poi c’è il livello per il singolo cittadino che può fare politica anche semplicemente quando va a fare la spesa, semplicemente prendendo il potere come consumatore e indirizzando da una parte quelle che sono le politiche e dall’altro quelle che sono in qualche modo l’industria o la produzione di questi prodotti. Se un tipo di bene di consumo viene lasciato dal consumatore perché ha troppa plastica, alla fine l’industria è costretta a cambiare perché non riesce più a vendere il prodotto. Questo qui moltiplicato per tanti prodotti potrebbe in qualche modo indirizzare l’industria in maniera differente, e quindi qui c’è un altro punto importante che è l’incastro fra la politica e l’industria. Quando facciamo delle politiche dobbiamo tenere conto che dietro c’è un’industria che ci lavora e dovremmo farlo parlandoci insieme e non andando contro l’industria perché poi la reazione è “ci fate perdere economia, posti di lavoro, non riusciamo a rispondere alle vostre esigenze politiche” e quindi in realtà bisogna farlo tutti seduti allo stesso tavolo perché sia un cambiamento vero effettivamente.

A gennaio abbiamo visto la Commissione adottare una strategia sulla plastica e proporre una direttiva sulla plastica usa e getta. Quali sono le azione proposte e quanto può realizzare l’Unione Europea nella lotta contro l’inquinamento da plastica?

Negli ultimi due anni, l’azione della Unione Europea ne abbiamo viste diverse e anche in maniera coordinata. L’anno scorso abbiamo lavorato sul pacchetto dell’economia circolare, che non riguarda solo la plastica ma riguarda molto il modo di concepire la nostra economia in linea come bene primario – produzione – consumo – rifiuto, ma il cerchio che si chiude, bene primario – produzione – consumo, e poi riciclo quindi il bene ritorna, questo vuol dire ridurre in maniera importante la produzione di rifiuti in generale e, in particolare anche quello della plastica. Quindi c’è il pacchetto della economia circolare, poi a gennaio c’è stata la comunicazione sulla strategia della plastica; non è una proposta legislativa però è un quadro di quello che l’Unione Europea vuole fare nei prossimi anni e da la direzione. Insieme a questo ci sono due proposte legislative importanti, una sulla single use plastic [usa e getta] , e l’altra è la revisione della normativa dei porti che ha che fare con i rifiuti in mare. La single use plastic in Commissione Ambiente abbiamo appena cominciato a discuterla. Io la trovo abbastanza buona, magari in certi aspetti si poteva migliorare o essere un po’ più ambiziosi. Per esempio, c’è un elenco di prodotti che nell’arco di due anni, dopo che sarà approvata la direttiva, saranno vietati, per esempio i bastoncini di plastica per il caffè, però non ci sono i filtri delle sigarette e se noi guardiamo i dati del WWF recenti, in mare la percentuale più importante di rifiuti che galleggia in mare sono quelli delle sigarette, quindi si poteva intervenire su un punto proprio particolare, ma questo non lo troviamo. Tutto sommato comunque è una proposta legislativa abbastanza buona, ma anche adesso tutto il lavoro del parlamento, quindi possiamo anche migliorarlo e renderlo ancora più forte e vedere se riusciamo a migliorare e avere un peso normativo più importante. È importante di per sé perché essendo legislativa, va a colpire proprio su una delle plastiche più impattanti che e quella del single use, quella che usiamo per pochi secondi e poi diventa subito un rifiuto e quindi va a colpire il nucleo più importante del rifiuto della plastica, poi c’è tanto altro ma intanto partire da qui mi è sembrato una buona idea.

Sui rifuiti nel mare, se non sbalgio in Italia i pescatori vengono tassati sui i rifiuti che riportano  dal mare. Può spiegare come funziona oggi e come verrà?

Si, l’altra proposta legislativa è la revisione del regolamento sui porti. È importante innanzitutto che ci sia uno standard uguale per tutti a livello europeo, proprio perché adesso è differente, succede per esempio che in Italia il pescatore si trova in mare e trova rifiuti di plastica, se li porta indietro in porto, deve pagare per lo smaltimento dei rifiuti che ha pescato. Non li ha prodotti lui, gli ha tolti dal mare e li ha portati a terra ma deve pagare per lo smaltimento. Tra l’altro sono rifiuti speciali quindi costa farlo. Quello che succede è che il pescatore per non pagare, quello che pesca poi lo ributta in mare, perché non gli conviene ma non è neanche giusto che lui debba pagare per qualcosa che non ha prodotto lui. La proposta direttiva sui porti va a toccare questi punti qua. Per esempio per i pescatori viene stabilito che ogni imbarcazione in un porto paga una tassa per i rifiuti all’anno fissa, e quindi non importa quanto rifiuto porta a terra, il tasso è sempre lo stesso. Questo vuol dire che un pescatore intenzionato a portare a terra la plastica che pesca non spende di più né di meno ed è quindi un incentivo per fargli portare questi rifiuti. C’è anche previsto nella normativa che gli stati possano dare degli incentivi economici ai pescatori in base alla quantità di rifiuti che portano.

Prendendo l’esempio della Francia che ha vietato la plastica usa e getta, dopodiché l’industria del imballaggio ha messo pressione sull’UE per incoraggiarla di sanzionare la Francia per vieto delle regole del mercato interno. Come possiamo dovremo aspettare dall’industria nel processo legislativo che viene?

L’industria ovviamente fa i suoi interessi, se le decisioni vengono prese dall’alto e l’industria si trova queste decisioni, reagisce in questo modo, cioè reagisce male, in qualche modo cerca di difendere i propri interessi. Non dico che sia giusto o sbagliato, però lo fa, fa così perché è un interesse di tipo economico. Se invece le decisioni vengono prese in maniera condivisa, lavorando con le industrie e dicendo che per fare questa normativa abbiamo bisogno di voi per capire come poterlo fare nel modo migliore possibile, come voi potete adattare i vostri percorsi, i vostri cicli produttivi per fare in modo che arriviamo ai risultati che noi vogliamo, allora si evita poi anche la conseguenza della reazione negativa dell’industria, se l’industria ha lavorato insieme all’Unione Europea. Non sempre è possibile, ma bisognerebbe comunque farlo per cercare di avere proprio delle politiche che siano già direttamente applicabili, senza anche troppe conseguenze economiche o di produzione e di occupazione.

In Europa il lavoro sulla plastica sta continuando, quali sono le prospettive per il progresso sulla plastica nei prossimi anni?

A livello Europeo, ci sono tante cose sul tavolo, e quindi una volta che queste proposte legislative diventeranno effettivamente leggi dell’Unione Europea, si dovranno vedere le conseguenze positive. In realtà, non mi preoccuperei troppo dell’Unione Europea, se non per i tempi, cercare di fare in maniera più veloce possibile per poter avere dei risultati.

Purtroppo sappiamo che a livello globale, il 65-70% della plastica arriva da paesi in via di sviluppo, quindi l’Unione Europea può dare il suo contributo anche molto importante, ma c’è un lavoro da fare anche di coinvolgimento di altri stati e di altre realtà per fare in modo che sia una azione coordinata. L’importante è che l’unione Europea si porti avanti e fare anche da traino rispetto ad altre paesi, come ha fatto per altre tematiche, come i cambiamenti climatici.

Il Mediterraneo è condiviso con i Paesi del Nord Africa ed altri come la Turchia o l’Israele, è possibile immaginare nei prossimi anni un accordo sulla plastica nel mediterraneo?

Da una parte, abbiamo un problema che si ripresenta: i paesi che si stanno sviluppando adesso, lo fanno come lo abbiamo fatto noi negli anni passati, quindi senza troppo pensare alle conseguenze sull’ambiente. In qualche modo, loro lo vedono come un loro diritto: “noi abbiamo il diritto di svilupparci, voi lo avete fatto e avete provocato delle conseguenze sull’ambiente, adesso noi ci dobbiamo sviluppare senza star troppo a pensare a quello che può succedere”. Come si fa con altre materie come per la pesca è molto importante che le decisioni più importanti coinvolgano tutti i paesi che si affacciano sul mar Mediterraneo perché le risorse che ci sono dentro sono di tutti, sono condivise. Su questo è importante anche quello che dicevo prima, se l’UE intanto va avanti con il proprio lavoro, può andare da queste nazioni e dire “noi questo qui lo abbiamo fatto, si può fare. Se voi fate come noi riusciamo ad ottenere buoni risultati”. Quindi un’azione da una parte di traino, e dall’altra parte di coinvolgimento attorno ad un tavolo per ricercare soluzioni comuni.

L’Italia è uno dei paesi più responsabili rispetto al problema della plastica nel mediterraneo, è uno dei produttori di plastica più grandi di Europa e, secondo la Repubblica, il settore impiega 110 mila persone. Dall’altra parte, ci sono pratiche di consumo quali bere l’acqua imbottigliata. Quindi, cosa è fattibile e realistico fare in Italia per combattere l’inquinamento da plastica dalla parte della produzione oppure da quella del consumo?

Ovviamente si potrebbe fare tantissimo, in tutti e due gli aspetti. E’ ovvio che ci vuole una volontà politica per farlo. Attualmente, nel dibattito politico italiano, certe tematiche non ci sono neanche, non vengono nemmeno prese in considerazione, si parla di tutt’altro, dalla questione dell’immigrazione al rapporto con l’Europa, etc., e questo in particolare negli ultimi mesi con il nuovo governo che c’è da giugno, costituito da due entità, di cui una che è il Movimento Cinque Stelle che aveva nel suo DNA le battaglie ambientali, ma che le ha un po’ perse per strada, poi speriamo che cambi, ma al momento non è più così vicino a questo tipo di battaglie, e l’altra la Lega che non ha mai pensato ad ambiente e a cose di questo tipo, ha politiche del tutto diverse; quindi vedo difficile che in questo momento l’Italia di sua spontanea volontà possa mettere in atto delle politiche efficaci per la plastica e l’inquinamento. D’altra parte, è anche vero che l’Italia deve rispettare le normative europee, e quindi se l’Europa e l’UE va avanti con questo suo piano legislativo in qualche modo le conseguenze si devono vedere anche sui singoli stati membri, è più lungo e macchinoso e sarebbe meglio che l’Italia avesse di per sé delle proprie volontà politiche per arrivare a questi risultati, però comunque, al momento ci accontenteremo di avere delle forti normative europee per fare in modo che gli stati membri, Italia compresa, le dovrebbero rispettare.

I rifuiti e la raccolta differenziata sono problemi generali in Italia. È possible per i comuni o le città italiani di avanzare sui questi temi senza il sostegno di loro governo nazionale?

Degli esempi li abbiamo, abbiamo dei comuni virtuosi, che quindi per le loro politiche interne sono riuscite ad avere dei risultati straordinari. Ci sono alcuni comuni del nord, c’è Parma ad esempio, i risultati possono essere ottenuti sicuramente a livello locale, e questo è un dato di fatto, è però anche vero che ci si muove in un contesto nazionale diverso dove viene incentivato addirittura l’utilizzo degli inceneritori, dove ancora si pensa alla discarica come una naturale fine vita dei rifiuti, quindi non c’è una vera e propria direzione verso quella che potrebbe essere per esempio l’economia circolare o comunque la riduzione dei rifiuti. Le singole entità locali come i comuni, possono fare molto all’interno del comune, ma rimangono solo degli esperimenti belli e funzionali, che portano risultati a livello locale, ma a livello generale di politiche italiane poco o niente, anzi stiamo andando in direzioni sbagliate.

Sergio Costa, il nuovo ministro dell’ambiente, ha detto che vuole fare grandi passi in avanti sulla plastica. Cosa, e con quanta ambizione, possiamo aspettarci dal nuovo governo di coalizione?

Da una parte, c’è quella che può essere la stima e il rispetto della persona di Sergio Costa, del suo passato, della sua storia, e quindi in qualche modo, gli si dà la fiducia, e sono tentato a credere che ha intenzione di fare delle cose positive che ha detto. Dall’altra parte, al momento siamo ancora nella fase delle dichiarazioni, e quindi non possiamo dire ne sta andando bene ne sta andando male, vedremo, per il momento ha solo fatto delle dichiarazioni, quindi vedremo le conseguenze. Sergio Costa è un po’ un punto positivo ma isolato all’interno di una squadra di governo che, ha idee completamente differenti, o comunque, che non ha a cuore l’interesse che invece Sergio Costa dice di volere portare avanti.  Quindi, comunque lo farebbe come battitore libero dentro un contesto che va in una direzione differente.