Anche se i loro nomi non sono famosi come quelli degli autori del Manifesto di Ventotene, alcune figure femminili ebbero un ruolo determinante nello sviluppo e nella diffusione del pensiero federalista Europeo. Una conversazione con la storica Antonella Braga ricostruisce il legame inscindibile tra vicende personali e impegno politico di alcune delle “madri fondatrici” dell’Europa unita.

Occhi intelligenti e capelli raccolti l’una; alta, capelli scuri, occhi canzonatori e forte desiderio di indipendenza l’laltra. Sono Ursula Hirschmann, intellettuale ebrea tedesca, e Ada Rossi, militante antifascista italiana. Hanno come obiettivo un’Europa federale e la fine di quello che Ada definisce il “male radicale”: la guerra.  

La storia convenzionale le ricorda principalmente come due mogli, Ada di Ernesto Rossi e Ursula di Altiero Spinelli (e prima ancora dell’antifascista Eugenio Colorni), gli autori del Manifesto di Ventotene, uno dei testi fondanti dell’Unione Europea. Ma quella del Manifesto, scritto nel 1941 con il titolo Per un’Europa libera e unita, non è solo una storia maschile. 

Sono infatti Ada Rossi e Ursula Hirschmann, libere di muoversi dall’isola di Ventotene dove si trovano confinati i rispettivi mariti per decisione del regime fascista, a portare il Manifesto sul continente. 

Qui, nonostante la minaccia di una repressione che hanno già sperimentato in passato, distribuiscono le copie del Manifesto e avviano un’opera di divulgazione degli ideali federalisti europei, nati dall’esperienza della resistenza al nazifascismo per creare un quadro politco, economico e sociale comune e garantire così la pace.  

Hirschmann traduce il testo in tedesco per renderlo accessibile alla Resistenza antinazista. Rossi, a Bergamo, fa battere il testo a macchina alla partigiana Mimma Quarti e lo diffonde negli ambienti antifascisti e nelle università. Questa azione clandestina le costa l’arresto e il confino, e la separazione dal suo amato Ernesto fino all’agosto 1943, quando viene liberata. 

Il personale è politico 

“In quegli anni tra le donne impegnate all’interno dei movimenti federalisti c’era sicuramente la consapevolezza di dover combattere anche una battaglia di genere,” spiega Antonella Braga, studiosa del pensiero antifascista e federalista europeo. “Ma è una questione che si è posta più tardi: in quel momento, la priorità era sconfiggere il nazifascismo e produrre un’Europa nuova. E, in questo, il ruolo delle donne c’è ed è importante.” 

Hirschmann e Rossi non sono considerate coautrici del Manifesto, e a differenza di altre donne, come le tedesche Hilda Monte e Anna Siemens, non prendono parte direttamente alla sua elaborazione teorica. Il loro contributo più importante per la causa antifascista e federalista è piuttosto il lavoro di divulgazione: “Facevano da ufficiali di collegamento, erano postine, o, come le chiamavano i comunisti, ‘fenicotteri’.” 

Entrambe, comunque, partecipano attivamente allo scambio di idee. In una lettera al marito Ernesto, Ada scrive che nella prima bozza del Manifesto ritrova temi fondamentali di cui hanno spesso discusso, come “l’orrore per la guerra, il volto demoniaco del nazionalismo e il progetto per un’Europa federale,” oltre ai presupposti per una riforma sociale di stampo socialista e liberale.   

L’impegno politico femminile e la storia dei movimenti stessi si snodano anzi proprio attraverso le vicende personali.

La loro dedizione alla causa e la solidità dell’ideale interiore non vacillano neanche di fronte a una vita privata carica di responsabilità. L’impegno politico femminile e la storia dei movimenti stessi si snodano anzi proprio attraverso le vicende personali, le amicizie, le passioni, gli amori che si intrecciano con la politica. Hirschmann ha tre figlie dal primo matrimonio con l’antifascista e socialista Eugenio Colorni, e altre tre dall’unione con Altiero Spinelli – quest’ultimo conosciuto proprio a Ventotene. 

Anche Colorni è confinato sull’isola, ed è in virtù della sua unione con lui, appassionata quanto tormentata, che Hirschmann partecipa alle discussioni che precedono la stesura del Manifesto. Colorni non figura tra gli autori, ma, tornato a Roma, diventa il primo curatore ed editore del testo.  

La rete di amicizie che si crea intorno al Manifesto e ai suoi autori dà vita al Movimento Federalista Europeo, fondato il 27-28 agosto 1943 nella casa milanese del valdese antifascista Mario Alberto Rollier. In seguito, al movimento aderiranno federalisti da tutta europa – francesi, ma anche italiani e tedeschi, che traggono dall’oppressione nazifascista e dagli orrori delle Guerre Mondiali la linfa vitale per aspirare a un’Europa unita e federale.   

Nel salotto antifascista di Rollier ci sono i fratelli Spinelli, Gigliola e Cerilo, ma anche Altiero, liberato da Ventotene, ed Eugenio Colorni. A Milano avviene la sua rottura definitiva con Hirschmann, che nel frattempo ha consolidato il suo legame con Spinelli. Ci sono anche Ada Rossi e la scrittrice, pittrice e militante Luisa Villani Usellini, che si lega a Colorni e successivamente lo segue a Roma. Seppur poco nota, Usellini lascia tracce profonde negli ambienti politici e sociali che frequenta, spiega Braga.  

Militanza e delusione 

Gli intrecci amorosi rivelano il lato umano della militanza politica antifascista del Dopoguerra, e in questo senso non sono mero pettegolezzo. Dai comportamenti privati traspare la statura degli ideatori dell’ideale di un’Europa dei popoli unita, e si comprendono le conseguenze emotive delle perdite e delle vessazioni inflitte dai regimi e dalle loro guerre. 

Questo discorso vale a maggior ragione per le donne del federalismo. Ada Rossi, per Ernesto, nichilista e spesso colpito da fenomeni depressivi, rinuncia ad avere figli nonostante ne desideri, e fa di tutto per creare un ambiente familiare sereno, circondandosi di persone care. A questo turbamento privato si aggiunge la delusione per il fallimento del progetto del Movimento federalista, quando, nel Dopoguerra, si configura un’Europa delle nazioni, divisa dagli opposti imperialismi della Guerra Fredda. 

A simili disillusioni vanno incontro anche Hirschmann e Usellini. La prima, compagna di Spinelli, nel marzo 1945 contribuisce a organizzare a Parigi la Conferenza internazionale dei federalisti europei, a cui partecipano anche Albert Camus e George Orwell. Per anni, Hirschmann è segretaria della sezione romana del Movimento federalista e resta accanto ad Altiero nonostante i ripetuti fallimenti a cui va incontro nel tentativo di costituire un’unione politica europea.  

Gli ultimi anni della vita di Hirschmann mostrano anche il suo femminismo. “C’è un episodio bellissimo che ho scoperto nell’archivio privato di Luisa Villani Usellini. Era un biglietto, lo mandava Ursula Hirschmann a Luisa e diceva: ‘Abbi cura di Eugenio’,” racconta Braga.  Aveva capito che c’era di più di un’amicizia capito che tra Usellini e il proprio primo marito c’era piu di una semplice amicizia. 

Quanto a Usellini, Braga la descrive come un’attiva partigiana nella lotta contro il fascismo, e un punto di riferimento per tante altre donne. Durante la guerra ha compiti di collegamento, formazione politica, e produzione e diffusione di stampa clandestina. Da luglio 1944 a marzo dell’anno successivo dirige La Donna Socialista, supplemento quindicinale dell’edizione romana del quotidiano socialista Avanti!. “Quando inizia la vita con Colorni, Usellini vive un momento di forte autonomia ed emancipazione dalla sua vecchia vita coniugale [con lo sceneggiatore e scrittore antifascista Guglielmo Usellini], che l’aveva a tratti limitata in quanto donna.” Quando Guglielmo esce dal carcere, Luisa resta a Roma invece di seguirlo. 

Insieme a Colorni, Luisa intraprende un periodo di militanza politica che dà consistenza al suo impegno federalista, nato dalla lettura del Manifesto di Ventotene, nel quale “la guerra non era presentata come un’ineluttabile fatalità, ma come la conseguenza dell’anarchia internazionale e della divisione dell’Europa in Stati nazionali sovrani,” spiega Braga.  

Usellini ha un instancabile senso del dovere: a seguito dell’incarcerazione del marito nota nel suo diario che “ormai c’è poco da scrivere, bisogna vedere che cosa saprò fare.” La sua tenacia non si spegne neanche dopo la morte improvvisa di Colorni, che pure la addolora profondamente. Ferito gravemente in un agguato fascista della banda Koch, Colorni muore il 30 maggio 1944, appena cinque giorni prima della liberazione di Roma e quasi un anno prima rispetto alla liberazione di Milano il 25 aprile 1945.  

Mentre Ernesto Rossi, Spinelli e Hirschmann, in esilio a Ginevra, perseguono l’ideale federalista, Usellini si ritrova dentro la Roma liberata. “Roma sperimenta una specie di periodo postbellico anticipato, e i militanti sentono l’esigenza di tornare a dedicarsi alla battaglia politica attraverso i partiti a cui appartengono. Usellini si sente perciò delusa e abbandonata dagli antichi compagni.”  

Per quanto socialista, Usellini è infatti prima di tutto una federalista che crede nell’urgenza di creare un’Europa fatta per i popoli e non per le nazioni. Entra così in contrasto con il Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP) che, nel contesto del nuovo bipolarismo, si avvicina sempre più al Partito Comunista Italiano (Pci). “Capisce poi, vedendoli da vicino, che gli anglo-americani non hanno nessuna intenzione di andare verso il federalismo,” spiega Braga. Insieme a Veniero Spinelli, fratello di Altiero, e a sua moglie Ingrid Warburg, Usellini costituisce quindi il Movimento Autonomista di Federazione Europea (MAFE).  

“Il MAFE segue una linea legata al federalismo francese e presuppone una rivoluzione mondiale che abbracci tutti gli ambiti: politico, sociale, culturale e anche religioso. È un progetto federalista radicale. L’idea era quella di una rivoluzione che si sviluppasse a più livelli e che partisse dal basso dei comuni e andasse poi stratificandosi in una serie di federazioni regionali, nella federazione europea e infine in quella globale.” Come è ovvio, a ambizioni più grandi corrispondono delusioni più forti. 

Eppure l’esperienza di Usellini permette di comprendere come l’idea di un federalismo imposto dall’alto tramite l’istituzione di un potere sovranazionale converge con quella di un federalismo dal basso, che prende le mosse da un sistema di autonomie. Questi due approcci, insieme, formano l’ideale di un potere politico che riduce la centralità delle nazioni. “È un progetto originario che è stato in qualche modo tradito. Che non voleva la morte dello stato nazionale, ma la condivisione della sovranità su più piani di governo.” 

Unità come emancipazione 

Questa tensione è ancora in gioco nell’Europa dei giorni nostri. “Le prossime elezioni Europee sono fondamentali. Bisogna far capire che o si fa un salto vero in una prospettiva di unificazione politica anche legittimata da una Costituzione, o altrimenti l’Europa rischia di essere diluita in un’area di libero scambio che lentamente andrà disfacendosi.” 

Costruendo prima di tutto un’Europa fondata sui diritti e le libertà, le donne avrebbero avuto ancora più possibilità di emanciparsi.

Spinelli, Ada ed Ernesto Rossi, Hirschmann, Usellini, Colorni e tutti i federalisti d’Europa si riconoscevano prima di tutto in un ideale che avrebbe dovuto portare alla fine di tutte le guerre. I dissidi interni passavano in secondo piano.  

“Le donne militanti federaliste avevano ideali politici profondamente autonomi, e riconoscevano un valore nell’impegno propriamente politico. Oggi spesso le battaglie di genere vanno nel verso di un’affermazione sul piano economico. Invece queste donne si erano prese un ruolo di primo piano nella militanza attiva politica in un momento in cui per una donna non era facile”.  

Hirschmann continua a impegnarsi politicamente fino a quando non viene colpita da un grave ictus nel 1975. Proprio quell’anno ha dato vita all’associazione Femmes pour l’Europe (Donne per l’Europa). “Intuì che costruendo prima di tutto un’Europa fondata sui diritti e le libertà, le donne avrebbero avuto ancora più possibilità di emanciparsi”.  

Negli anni Settanta, Hirschmann cerca di coinvolgere nella causa federalista i movimenti femministi, contestatari della visione borghese e ostili al progetto europeo. Vuole far incontrare due mondi che non parlano la stessa lingua. Proprio lei, Ursula Hirschmann, che non si sente italiana, né tedesca, né ebrea, ma una degli “sradicati senza altro da perdere che le nostre catene in un’Europa unita”. “E perciò”, scrive, “siamo federalisti”.